Le banche piccole potranno ignorare lo spread per legge
Di governo per evitare effetti negativi sui bilanci
■ Gli istituti non quotati in Borsa avranno la possibilità di congelare il valore dei titoli di Stato senza adeguarlo ai prezzi di mercato. Sconti sulle sofferenze
Èun segnale a una parte del mondo del credito, che lo chiedeva a gran voce. E si materializza con un emendamento alla manovra in commissione Finanze alla Camera che come primo firmatario ha uno sconosciuto deputato M5S, Raffaele Trano, commercialista di Formia alla prima legislatura.
la mossa, però, c’è l’intero governo. Che ieri ha fatto approvare una doppia modifica alla legge di Bilancio che può avere un effetto dirompente: uno scudo anti spread per le banche non quotate, che potranno avere anche maggiore libertà nel registrare le perdite sui crediti. “Vogliamo metterle al riparo dalle speculazioni finanziarie”, ha spiegato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Riccardo Fraccaro. L’emendamento agisce su due fronti. Permette alle banche non quotate (e anche alle assicurazioni) di non applicare i principi contabili internazionali, ma di usare quelli nazionali. È quello che avviene in Germania. Per chi lo fa, interviene una seconda norma che consente agli istituti di sterilizzare gli effetti dello spread sui titoli di Stato detenuti nelle attività disponibili per la vendita. È l’escamo
tagetrovato per scudare le piccole banche, e sono centinaia, da una norma che in tempi di spread a 300 danneggia il patrimonio degli istituti. Fino al 2016 le banche godevano di un filtro prudenziale che permetteva loro di non dover prezzare il valore dei titoli di Stato nel portafoglio degli asset non immobilizzati. Nel 2016 questo filtro è stato tolto per le grandi banche vigilate dalla Bce. Le piccole hanno continuato a beneficiarne fino al 2018, quando è stato eliminato con l’introduzione del nuovo principio contabile internazionale Irfs9. In questo modo, quando lo spread sale (e quindi si abbassa il valore dei titoli di Sta- to) danneggia il patrimonio degli istituti a cui guarda la vigilanza. È quello che sta avvenendo in questi mesi, con il differenziale di rischio tra titoli italiani e tedeschi stabile a quota 300. Un bel guaio per le banche italiane, che hanno in pancia 370 miliardi di titoli di Stato domestici. Ripristinare il filtro sarebbe stato più efficace ma avrebbe costretto il governo a modificare una normativa comunitaria. E così si è deciso per una strada alternativa, disponibile per tutte le banche non quotate. La norma però non riguarda solo lo spread. Il problema dei principi contabili vale anche per i crediti, perché l’Ifrs9 obbliga le banche a effettuare accantonamenti per coprire le perdite non solo di quelli già deteriorati, ma anche di quelli che potrebbero deteriorarsi in futuro. Bankitalia ha stimato che la novità, per gli istituti meno grandi, comporterà un calo medio di 47 punti sul patrimonio di vigilanza (Cet1).
LA NORMAviene insomma incontro alle richieste del mondo bancario, anche se al momento c’è scetticismo sul fatto che possa bastare. Dal 2005 non c’è più una normativa vigente su principi contabili nazionali per le banche, ma solo il codice civile, e servirà probabilmente un nuovo intervento per raccordare le due normative. La norma, peraltro, prevede che si possa sterilizzare lo spread sui titoli solo per il 2018 (deciderà il Tesoro, via decreto, se prolungarlo anche per gli anni successivi) e quindi in poche settimane gli istituti che vorranno servirsene dovranno riscrivere l’intero bilancio con i nuovi principi contabili nazionali. L’altra incognita riguarda la vigilanza. Bankitalia non è contraria, vi- sto che, finché ha potuto, ha applicato il filtro alle banche piccole. Servirà però convincere la Bce. Difficile che il segnale venga letto bene a Francoforte, e pure a Bruxelles, che avevano visto nell’eliminazione del filtro uno strumento per spingere le banche italiane a disfarsi dei titoli di Stato e rompere il legame tra settore bancario e debito pubblico, come chiedono da tempo i Paesi
Nodi tecnici
Per sfruttarlo devono ritornare ai principi contabili nazionali Come in Germania
del Nord (Germania in testa).
Intanto l’esecutivo studia un emendamento al decreto fiscale per modificare la riforma della Banche di credito cooperativo del governo Renzi. L’ipotesi è di togliere l’obbligo agli istituti di aderire alle holding capogruppo. Di sicuro riguarderà le Bcc del Trentino Alto Adige (care a Lega e M5S). Estenderlo a tutti significherebbe demolire la riforma cara a Bankitalia. Che s’è già messa di traverso.