Sovranità, vincoli Ue e le due Irlande: qui casca il “deal”
Nell’accordo firmato dal governo i Brexiter vedono troppe concessioni all’Europa, la City troppi limiti alle transazioni La soluzione Il Regno Unito resta nell’unione doganale A Belfast si applicano clausole più europee
Dimissioni ministeriali, speculazioni politiche e ipotesi di sfiducia hanno indebolito il governo May, ma non hanno arrestato l’iter dell’accordo con Bruxelles. Di fatto l’accordo ha ancora, in questo momento, l’imprimaturtecnico- legale dei negoziatori e il mandato politico del governo britannico. Il deal, insomma, resta in piedi ed è la piattaforma per i negoziati sugli accordi commerciali. Come tale verrà presentato al summit europeo del 25 novembre a Bruxelles. Naturalmente, in caso di altre dimissioni di altissimo livello o di vittoriosa sfida alle p re m ie r sh i p, quel mandato politico potrebbe indebolirsi al punto da non dare ai leader europei sufficienti garanzie di affidabilità. Si vedrà nei prossimi dieci giorni. Intanto ecco punti fondamentali e snodi critici delle 586 pagine.
Il confine irlandese: il grande ostacolo
È stato il grande ostacolo alla chiusura dell’accordo. La soluzione trovata per evitare il ritorno di un confine fisico fra le due Irlande, che potrebbe compromettere i delicati equilibri del Good Friday Agreement, è che l’intero Re- gno Unito rimanga nell’unione doganale, mentre per Belfast si applicheranno clausole speciali, con un ampio allineamento al mercato unico e ai regolamenti europei. È la famigerata backstop clause o clausola di salvaguardia, che scatterà nel caso al termine del periodo di transizione non sia stata trovata una soluzione alternativa per evitare il confine. Ma per gli unionisti irlandesi crea una distinzione inaccettabile fra Nord-Irlanda e Gran Bretagna, mentre i Brexiter denunciano la perdita di sovranità.
I limiti al commercio internazionale
Restando nell’unione doganale il Regno Unito avrà limitati margini per siglare accordi commerciali internazionali autonomi, come volevano i Brexiter.
I diritti dei cittadini: il meno controverso
È uno dei dossier meno controversi. Gli europei già residenti nel Regno Unito o che si trasferiranno entro la fine del periodo di transizione (e i britannici residenti in Europa) continueranno a godere dei diritti attuali. I primi dovranno però dimostrare la loro residenza attraverso una procedura semplificata che l’Home Office sta mettendo a punto. Dopo il 2021 per vivere e lavorare nel Regno Unito sarà necessario un permesso. Una vittoria di Londra, che così dice no a uno dei pilastri dell’architettura dell’Ue, la libertà di movimento.
La revisione della clausola di salvaguardia
Il trattato prevede che la revisione della clausola di salvaguardia debba essere concordata fra le parti. Per i Bre
x i t er s , una trappola che rischia di tenere il Regno Unito vincolato, a tempo indefinito, ai diktat europei. La richiesta del dimissionario Dominic Raab era che Londra potesse uscirne in modo unilaterale.
Sovranità: leggi Ue oppure leggi nazionali
Dopo il periodo di transizione eventuali dispute saranno valutate con arbitrati gestiti da un panel di 5 membri. Ma qualsiasi contrasto che coinvolga l’a p p li c a z i one di una legge europea dovrà prima passare dalla Corte europea di Giustizia. Un esito che fa infuriare i B r e
x i te r ed è in contrasto con l’iniziale impegno della May di “riprendere il controllo delle nostre leggi”.
I mercati finanziari: non proprio equivalenti
Delusione per la City, a cui è garantito solo il regime di “e qu i v al e n za ”, cioè un accesso di base al mercato europeo simile a quello delle società statunitensi o giapponesi ma molto ridotto rispetto all’amplissimo accesso garantito dall’attuale regime di passporting.