Tanto rumore per NETFLIX
Grande è la confusione sotto il “decreto finestre”. Non nel decreto Bonisoli, s’intende, ma tra gli esegeti: nella vulgata giornalistica, sarebbe “una norma anti-Netflix”, peccato che non lo sia, anzi. Parola del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli, il decreto alla firma, che peraltro è uno degli attuativi della Legge cinema voluta dal predecessore Dario Franceschini, “regola le finestre in base a cui i film dovranno essere prima distribuiti nelle sale e poi su tutte le piattaforme che si vuole”. Con il sottosegretario Lucia Borgonzoni, è una significativa modifica dell’attuale iato, “105 giorni (un gentlemen’s agreement, ndr) prima di approdare in tv o su una piattaforma, che non andava bene. Il provvedimento non è e non voleva essere contro Netflix: si decide esclusivamente quali film possano godere o no dei contributi pubblici”.
CHE CAMBIA. 105 i giorni tra theatrical e altro sfruttamento perché l’opera cinematografica possa accedere ai benefici che la legge riconosce ai film italiani (tax credit, contributi selettivi, contributi automatici, ecc.). Ma l’intervallo è ridotto a 60 giorni, se il suddetto film è veicolato su non più di 80 schermi e dopo i primi 21 giorni di programmazione ha ottenuto meno di 50 mila spettatori, o addirittura dieci giorni, se è distribuito per tre – o meno – giorni feriali, con esclusione del weekend. Con queste nuove regole – evidenzia Borgonzoni – “nel periodo 1° gennaio 2013-30 settembre 2018 oltre 750 film italiani su circa 1.000 avrebbero avuto la possibilità di essere visti su altre piattaforme molto prima dei 105 giorni previsti nelle prassi di mercato, con evidenti benefici sui ricavi complessivi”.
TRA LE RIGHE
Il provvedimento decide quali opere abbiano diritto ai fondi pubblici, imponendo soltanto a queste l’uscita in sala
Regolerà tempi e modi con cui i film dovranno essere distribuiti: prima nei cinema e poi su tutte le piattaforme che si vuole
ALBERTO BONISOLI
IL CASO CUCCHI. Alcune precisazioni: queste regole non si applicano a film stranieri – per esempio, l’atteso The Irishman di Martin Scorsese targato Netflix – e non inibiscono le piattaforme streaming, Netflix, Amazon o quant’altro, dal programmare un’uscita contemporanea in sala e Vod ( Video On Demand), a patto che non si voglia usufruire delle agevolazioni ministeriali. È il caso del film su Cucchi Sulla mia pelle, diretto da Alessio Cremonini, prodotto e distribuito in sala da Lucky Red il 12 settembre scorso, reso disponibile in streaming lo stesso giorno da Netflix, ma – attenzione! – nulla vieta a Lucky Red di accedere ai contributi pub- blici previsti per le opere audiovisive non considerate film, che per giunta non differiscono nemmeno troppo. In breve, tanto rumore per nulla?
PROBLEMA. Solo un tema si profila con qualche gravosità all’orizzonte: il Ministero è ti- tolato a discernere tra film tout
court, che per definizione nasce e cresce per approdare in sala, e altra opera audiovisiva? Non è una distinzione obsoleta, un discrimine che non tiene, ancor più nel momento che le sale stesse programmano altri prodotti, dai pilot delle serie all’opera in diretta e ai documentari-evento? Di certo, non aiuta la Legge vigente, sintomaticamente denominata “Disciplina del cinema e dell’audiovisivo”, come a dire “della rosetta e del pane”.
REAZIONI. “No comment” da Netflix, indifferenziato è il plauso delle associazioni di ca- tegoria: Anec, Anem, Acec e Fice, con i produttori e distributori di Anica, lodano “il confronto tra tutti i componenti dell’industria che ha portato a una piena e produttiva condivisione di idee”; per Anac “l’Italia non arriva ancora a eguagliare il sistema che vige in Francia, ma si avvicina alle altre legislazioni europee”; 100autori guarda già oltre, alla “definizione degli obblighi di investimento e di programmazione per le reti televisive e le OTT, che in Italia coinvolgeranno anche le piattaforme globali del web”.