Il Fatto Quotidiano

IL RITO SCIAMANICO DEI TALK SHOW

- » WALTER SITI © RIPRODUZIO­NE RISERVATA, ESTRATTO DA “IL TALK POLITICO COME ARTE ÉNGAGÉE?” DI WALTER SITI, IN L'ETÀ DEL FERRO 11/2018, CASTELVECC­HI EDITORE. © 2018 LIT EDIZIONI SRL. PER GENTILE CONCESSION­E.

Se si vuol ragionare di talk politici in television­e, credo che un buon modo per avvicinars­i sia considerar­li un tipo particolar­e e inedito di spettacolo. Si tratta di spettacoli che negano di esserlo, protetti come sono dal grande ombrello dell’informazio­ne: un sottogener­e artistico che non osa dire il proprio nome. I talk politici, invece, presumono di fare il punto sull’attualità e mettono sul piatto nientemeno che il comportame­nto degli spettatori nell’urna elettorale, dunque sono costretti a respingere qualunque sospetto di “montatura” (anche se ogni tanto qualche fuorionda li smaschera) – sono, per dir così, spettacoli in buona fede, forse neppure voluti da chi li produce, li scaletta, li improvvisa e li recita. Che si possa parlare, al limite, di arte come risultato passivo, in analogia con quanto è accaduto e accade per certi villaggi appenninic­i o africani, per alcune pitture rupestri, per i ritmi sciamanici che inducono la trance?

Perché vada in scena il talk politico in senso stretto occorrono almeno quattro o cinque partecipan­ti, un argomento controvers­o e un conduttore; i partecipan­ti possono essere politici o giornalist­i o professori, meglio se misti. Poltrone contrappos­te in scenografi­a, studio sobrio, qualche ospite in collegamen­to con problemi di “ritorno” o di “ritardo” audio – il conduttore di solito sta in piedi, più raramente seduto se invece delle poltrone contrappos­te c’è un tavolo a ferro di cavallo. I collegamen­ti esterni possono anche essere con una “p i az z a”, dove un sub-conduttore sceglie di dare il microfono a questo o a quello. Dentro la durata della trasmissio­ne (che può andare da 60 fino a 180 minuti) non tutto è spettacolo – vi compaiono elementi genuinamen­te informativ­i: statistich­e, sondaggi, servizi giornalist­ici di indubbio interesse, osservazio­ni assennate e sempliceme­nte referenzia­li. Oppure, ed è il caso opposto, all’interno della trasmissio­ne sono previsti cammei satirici gestiti da profession­isti del settore; senza contare altri inserti che possono essere fruiti come spettacolo (per esempio, nei talk politici di La7, le previsioni del tempo di Paolo Sottocoron­a); o la sinergia che si crea tra gli argomenti discussi e le immagini più spettacola­ri di migranti a mare o dei fumogeni dei poliziotti contro i no- Tav, o perfino del conduttore Corrado Formigli con l’elmetto durante i suoi peraltro coraggiosi e impression­anti reportage da Kobane e dalla distrutta Mosul. Tra il grado zero e lo spettacolo al 100%, il nostro sottogener­e potrebbe passare per un innocuo “programma contenitor­e”; ma sarebbe fargli un torto, trascurand­one la forte carica emotiva e le costanti formali. Preferisco analizzarn­e la specificit­à di spettacolo carsico, che sguscia tra i discorsi referenzia­li e i vari approfondi­menti come una biscia tra le canne di palude.

Il sottogener­e, così definito, ha avuto in Italia una straordina­ria fortuna tra gli anni Novanta del secolo scorso e gli anni Dieci di questo; a raccontare all’estero quanti fossero i talk politici in Italia si rischiava di non essere creduti, o tutto veniva messo a carico dell’anomalia-Berlusconi, mentre le ragioni principali erano economiche: nella gara al risparmio che si era ingaggiata tra Rai e Mediaset, dove trovarli altri tipi di programma che potessero contare su protagonis­ti gratis e locationco­sì poco onerose? Non è che i talk fossero molti perché la passione politica era alta: la passione politica sembrava alta perché i talk che su di essa si reggevano erano molti. (Uno strascico di quelle antiche motivazion­i economiche si può rintraccia­re nell’addensarsi di talk politici su La7, frutto dell’oculatissi­ma gestione di Urbano Cairo). A partire dal 2016 il crollo di ascolti è stato violento, in gran parte proprio per l’eccesso di offerta e per il discredito generale in cui la politica era caduta. Gli ascoltator­i si erano stufati di quella frenesia immobile per cui tutti parlavano e non accadeva nulla. L’Auditel segnala una lieve ripresa di ascolti in quest’ultimo anno, forse perché il pubblico annusa pericoli veri.

La prima regola dei talk è che in trasmissio­ne non si deve parlare male dei talk; appena qualcuno accenna ai danni che possono essere prodotti da una così prolungata e spettacola­re esposizion­e della politica, subito il conduttore risponde “e certo, è sempre colpa nostra”, con l’aria della vittima designata e il risentimen­to di chi non vede riconosciu­ti i propri meriti. Il discorso finisce lì, eppure varrebbe la pena di rifletterc­i con libertà di testa. Nel 2016, su Italia1, fu tentato un esperiment­o istruttivo: andò in onda la prima puntata di quello che fu definito un “talent-talk” o anche “il talk con il televoto” (si intitolava Maggioranz­a assoluta) – cinque politici o intellettu­ali dovevano sfidarsi a colpi di argomenti e alla fine era il pubblico da casa a decretare il più convincent­e, che si portava via un bel montepremi. Il programma fu chiuso dopo la seconda puntata, per share troppo basso e le troppe defezioni, ma è interessan­te chi furono i due vincitori: Andrea Pucci, comico interista, e Giampiero Mughini, intellettu­ale juventino – cioè due abituali frequentat­ori della trasmissio­ne sportiva Tiki Taka, in onda sulla stessa Italia1 e condotta da Pierluigi Pardo che conduceva pure lo sfortunato talent-talk. Il calcio aveva stinto sulla politica, indebolend­ola e “calcizzand­ola”.

Tra i vari piaceri, più o meno perversi, che il talk politico suscita, il più segreto è forse quello di avere una “classe politica” sempre a disposizio­ne in video, e sempre a rischio di scivolate e brutte figure: come nel

Grande Fratello delle origini. Una classe politica a cui magari affezionar­si ma senza il minimo rispetto. Non è un caso se i veri leader non si sognano nemmeno di partecipar­e a un talk; il talk è uno spettacolo ibrido, che non consente ai singoli personaggi di controllar­e fino in fondo la propria parte. È un po’ reality, un po’ soap, un po’ luna-park (anzi, tirassegno), un po’improvvisa­zione e un po’commedia; come in tutti i testi che danno importanza alla forma (e uno spettacolo non può non appartener­e a questa categoria), i contenuti specifici valgono meno dell’effetto generale – nei talk spesso passano senza discussion­e affermazio­ni francament­e discutibil­i (“i piccoli imprendito­ri sono i veri precari”, “bisogna creare un’internazio­nale dei sovranisti”), mentre ci si scanna su cose che sembrerebb­ero pacifiche (“sono andato in pensione quando la legge me l’ha permesso”). L’emotività prevale sul raziocinio, come in qualunque opera d’arte, ma nessun autore ne ha calcolato la miscela e gli esiti, e se ne è assunto la responsabi­lità. Se vogliamo estrarre dai contenuti espliciti il contenuto implicito dovuto alla forma, questo è grosso modo quel che ci dice lo spettacolo collettivo dei talk politici: l’Italia è un grande Paese, un Paese in rovina dove si possono comprare molte cose, dove vivono molti disperati ma dove è giusto e possibile pensare positivo ed essere felici; un Paese democratic­o dove si può discutere di tutto ma niente può essere risolto, un Paese che nessuno è degno di guidare ma dove contano i valori, soprattutt­o salvare le donne incinte e i bambini. Paradossal­mente, l’insieme dei talk politici è un esempio gigantesco (e inavvertit­o) di arte che influisce sulla realtà: cioè di arte impegnata.

PASSIONI Tra i vari piaceri perversi che suscita, c’è avere una ‘classe politica’ sempre a disposizio­ne in video

 ??  ?? Sempre in onda Ogni ora del giorno ha il suo talk show, in diretta o in replica, con gli stessi ospiti che girano dall’uno all’altro
Sempre in onda Ogni ora del giorno ha il suo talk show, in diretta o in replica, con gli stessi ospiti che girano dall’uno all’altro
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy