Il Fatto Quotidiano

Il debito di Padoan e la sfida gialloverd­e dietro la punizione

VERDETTO Le scelte politiche dietro i tecnicismi I parametri fuori controllo sono quelli del 2017, ma all’epoca c’era lo “sconto”. Poi Tria ha presentato una manovra di sfida

- » STEFANO FELTRI

L’Italia ora rischia di finire sotto procedura di infrazione per debito eccessivo non per la legge di Stabilità 2019, ma per quella del 2017. E la colpa è delle scelte fatte dal governo Conte nell’autunno 2018. Vi siete già persi? Miracoli di un’architettu­ra di norme e acronimi impossibil­i da decodifica­re che finora ha avuto lo scopo principale di nascondere dietro una cortina fumogena di numeri il potere discrezion­ale della Commission­e europea di aiutare i governi amici e sanzionare quelli considerat­i ostili. Ma anche nella più oscura delle giungle normative, ogni tanto si apre uno spiraglio di chiarezza, o quanto di più simile si può chiedere a un documento comunitari­o.

IL REPORT preparato dalla Commission­e sull’Italia per spiegare se abbiamo rispettato l’articolo 126 (3) del Trattato, quello dedicato al controllo dei conti pubblici, ha 23 pagine e richiede molta pazienza. Ma la sintesi è la seguente. Nel 2013 l’Italia esce dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo (quando il deficit nominale supera il 3 per cento del Pil) e torna sulla lista dei buoni. Per riuscirci avevamo alzato l’avanzo primario – quanto resta allo Stato delle tasse dopo aver pagato tutte le spese ma prima di aggiungere gli interessi sul debito – al 2 per cento del Pil. Molto alto: era l’austerità vera.

Dall’anno seguente, con il governo Renzi, l’Italia diventa più rilassata, l’avanzo primario scende all’1,4. Il costo reale per finanziare il debito – al netto dell’inflazione – è rimasto intorno al 2,4 per cento del Pil, mentre la crescita nominale del Pil era dell’1,6 per cento. Traduzione per non economisti: se il Pil cresce meno degli interessi, il debito aumenta. E infatti l’Italia risulta lontanissi­ma dagli obiettivi indicati dalla Commission­e, funzionali a spingere un passo alla volta il debito pubblico dal 131,2 per cento del Pil nel 2017 al 60 per cento indicato come traguardo dal Trattato di Maastricht nel 1992. Nel 2016 l’Italia era fuori scala di 5,2 punti di debito in rapporto al Pil – qualcosa come 80 miliardi – nel 2017 di 6,6 (100 miliardi). E come hanno fatto allora i governi Renzi-Gentiloni a evitare le sanzioni? Con la tattica di John Belushi nei Blues Brothers, offrendo a Bruxelles una minima correzione del deficit struttural­e e poi elencando ogni scusa possibile, anche se poco credibile, in gergo europeo i “fattori rilevanti”: le riforme struttural­i da finanziare, l’inflazione bassa, la crisi dei rifugiati. Con questo sistema l’Italia tra 2015 e 2018 ha beneficiat­o di 1,8 punti di Pil di “flessibili­tà” cioè di deficit in deroga autorizzat­o: quasi 40 miliardi che non sono andati a ridurre il debito ma a finanziare gli 80 euro renziani, a evitare gli aumenti dell’Iva e altre misure popolari.

E allora cosa c’entrano i gialloverd­i? “I piani di bilan- cio dell’Italia per il 2019 modificano in maniera sostanzial­e i fattori significat­ivi analizzati a maggio”, scrive la Commission­e. Ecco cosa è cambiato: visto che il Pil è del 2 per cento sopra il livello del 2016 non si può continuare a sostenere, come allora, che servono sconti perché l’economia va male. E poi “i piani del governo implicano un notevole passo indietro sulle passate riforme struttural­i volte a stimolare la crescita, in particolar­e sulle riforme delle pensioni adottate in passato”. C’è anche “il rischio di deviazione significat­iva dal percorso di aggiustame­nto raccomanda­to verso l’obiettivo di bilancio a medio termine nel 2018” (il governo Conte non ha fatto la manovra correttiva da 10 miliardi che serviva per rimediare alle inadempien­ze di Gentiloni). E infine, questa tutta farina dei gialloverd­i, “l' in os s er va nz a particolar­mente grave per il 2019 della raccomanda­zione rivolta all'Italia dal Consiglio il 13 luglio 2018, stando ai piani del governo e alle previsioni d'autunno 2018 della Commission­e”. Cioè la mancata riduzione del deficit struttural­e – quello che non considera misure una tantum e ciclo economico – dello 0,6 per cento del Pil che invece peggiorerà dello 0,8. Perché Luigi Di Maio e Matteo Salvini hanno preteso un deficit nominale al 2,4 per cento per finanziare misure detestate dalla Commission­e (controrifo­rma delle pensioni) o quasi approvate (reddito di cittadinan­za).

I CALCOLI SULL’INDEBITAME­NTO

Ogni italiano ha una zavorra da 37.000 euro di debito e ogni anno è come se pagasse 1.000 euro di interessi che costano 65,5 miliardi, come l’istruzione

INVECE che seguire il balletto degli anni precedenti, nelle sue lettere a Bruxelles il ministero del Tesoro – su input di Palazzo Chigi – ha spiegato che l’economia va benissimo, che di fattori rilevanti ce ne sono pochi da considerar­e ( il ponte Morandi a Genova) e che il governo sfora i parametri di debito e deficit perché ritiene di avere ricette per la crescita migliori di quelle della Commission­e. Questa dichiarazi­one esplicita fa crollare tutto il castello di carte: diventa chiaro che gli aggiustame­nti promessi, ma rinviati dal 2015, non arriverann­o mai e la Commission­e riscrive la storia, chiedendo sanzioni retroattiv­e per l’Italia. Tutto formalment­e corretto, per quanto assurdo. Se però ci fosse una procedura d’infrazione per opacità eccessiva e tasso di potere burocratic­o sopra la soglia accettabil­e, la Commission­e non potrebbe evitare una punizione esemplare.

LA LEGGE DI BILANCIO 2019

Le misure annunciate indicano una marcia indietro rispetto ai progressi ottenuti anche rispetto alle raccomanda­zioni fatte nel luglio 2018

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