Il Fatto Quotidiano

“Vitiello, è come il nostro?” Così è nato il trappolone

L’emendament­o-esca per la Lega, il ruolo degli ex e la fronda dei dissidenti 5 Stelle

- » PAOLA ZANCA

Un attimo prima che l’emendament­o sul peculato venga messo ai voti, un imprecisat­o deputato della Lega si rivolge al collega del gruppo Misto, Catello Vitiello, primo e unico firmatario della norma che ha fatto andare sotto il governo: “Ma questo è come il nostro?”. “Il vostro era scritto male, io l’ho migliorato”.

Secondo l’onorevole Vitiello – espulso dal Movimento perché iscritto alla massoneria – sarebbe tutto qui, in un estemporan­eo botta e risposta sui banchi di Montecitor­io, il cuore della “trattativa” che martedì sera ha mandato in frantumi la maggioranz­a. E che, in estrema sintesi, ha permesso nel segreto dell’urna l’approvazio­ne di una modifica cara alla Lega, che ha un discreto numero di amministra­tori nei guai per le inchieste sulle spese pazze dei consigli regionali.

CI AVEVANO PROVATOin commission­e, i leghisti, a depotenzia­re il reato per cui è imputato, tra gli altri, il capogruppo del Carroccio a Montecitor­io Riccardo Molinari. Ma l’hanno dovuto ritirare appena la notizia è uscita sui giornali. Però, ci ha pensato Vitiello a tornare alla carica, questa volta in Assemblea: “Probabilme­nte se non lo avessi fatto io non l’avrebbe fatto nessuno – spiega ora – ma sono stato mosso da ragioni puramente tecniche, la politica non c’entra: non ho presentato nessun emendament­o soppressiv­o, e altri scritti da me sono assolutame­nte davighiani!”.

Pur di non finire nel calderone degli oppositori del governo (“Ho pure votato la fiducia!”), Vitiello scomoda il simbolo di Mani Pulite. E spiega di essersi affidato a un orientamen­to della Cassazione, secondo il quale talvolta l’uso improprio del denaro pubblico è una questione di abuso d’ufficio e non di peculato.

Eppure immaginare che quei 36 franchi tiratori siano arrivati dal nulla, è un’impresa ardua perfino per i principian­ti della tattica parlamenta­re. “È stata un’operazione concordata, e sicurament­e là in mezzo ci sono anche voti nostri”, assicurano dai vertici del Movimento. “Ma se i Cinque Stelle nemmeno sapevano che cosa ci fosse scritto!”, sbotta adesso Vitiello.

Nel dubbio, ieri, le perplessit­à sulla gestione del gruppo grillino sono arrivate fino a Luigi Di Maio: i 25 deputati che sono anche sottosegre­tari, per dire, non erano stati avvertiti degli emendament­i a rischio e nessuno di loro è stato richiamato in aula, nemmeno quando i numeri hanno iniziato a traballare perfino sui voti palesi. Con emendament­i approvati con 20 voti di margine, ragionano, bisognava subito correre ai ripari.

Invece si è andati avanti alla cieca e quando è arrivato il turno di Vitiello è stata la Lega a intuire al volo che quello era “come il nostro”.

GIURA, VITIELLO, che nulla era stato discusso prima. Eppure a qualche Cinque Stelle, ieri sera, erano arrivati segnali del fatto che si viaggiasse su binari impervi. Per non parlare, raccontano altri colleghi di Parlamento, delle discussion­i in cui lo stesso Vitiello, insieme al compagno di gruppo Salvatore Caiata, “segnalava” gli emendament­i su cui la maggioranz­a poteva andare a rotoli, chiarendo perfino che Lega e Forza Italia avrebbero sicurament­e votato a favore. Ora, nessuno ignora che potesse trattarsi di pura deduzione logica. Certo prendiamo atto che a tirare velocement­e le conclusion­i sono bravissimi anche quelli che gli siedono a fianco.

Lo scivolone di martedì Sotto accusa la gestione del gruppo grillino: non sono stati richiamati i 25 sottosegre­tari

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Ansa Avvocato Catello Vitiello, eletto alla Camera con i 5 Stelle e subito espulso perché massone

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