Caso Khashoggi, Trump e Ryad uniti nel prezzo del petrolio
La determinazione con cui il presidente Trump persegue non la giustizia, ma la tutela degli affari americani, suoi e del genero, con i sauditi desta interrogativi e indignazione nell’Unione che celebra il Ringraziamento e vorrebbe sentirsi più buona. Dopo avere simbolicamente graziato un tacchino sul prato della Casa Bianca, a fronte dei 40 milioni serviti in queste ore sulle tavole americane, Trump ha pure graziato l’uomo forte di Ryad, il principe ereditario Mbs: nonostante i rapporti della Cia e il groviglio di prove, che fanno risalire direttamente a lui l’ordine di eliminare l’analista del Wa shing ton Post e oppositore saudita Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre con consolato saudita di Istanbul, Trump resta fedele all’alleato che gli compra armi per oltre cento miliardi di dollari in dieci anni, gli combatte l’Iran nello Yemen e – apparentemente contro i propri interessi – gli tiene basso il prezzo del petrolio (sceso da 82 a 54 dollari al barile). “Grande! Godiamocelo!”, scrive su Twitter il presidente: “Grazie, Arabia saudita, ma abbassiamolo ancora di più”.
LA STAMPA di qualità Usa è basita. Chiamata in causa, Teheran risponde con ironia: “Magari sono colpa nostra pure gli incendi in California”. Anche la Turchia, con gli Usa nella Nato, giudica “ridicola” la posizione di Trump: “Non è credibile che la Cia non sappia”. Trump dice dell’omicidio Kashoggi, Mbs “forse sapeva e forse no”, forse è stato il mandante e forse no, non conosceremo mai la verità con certezza. E, comunque, gli Usa hanno relazioni con l’Arabia saudita e ne restano “un partner incrollabile”. Con mossa bipartisan, due senatori di spicco della Commissione Esteri chiedono un supplemento di inchiesta per determinare se il principe sia responsabile di violazioni e abusi dei diritti umani, citando una legge che vincola il presidente a farlo. Intanto, ormai assolto, Mbs si prepara al G20 in Argentina.