Il Fatto Quotidiano

Brexit: tutti contro Londra dalla Spagna a Frau Merkel

Europa Dopo la vittoria su Corbyn, May alle prese con Sánchez su Gibilterra e la foga della cancellier­a

- » SABRINA PROVENZANI

Ora Theresa May combatte su due fronti. Ieri, durante il Question Time settimanal­e, ha affrontato un Parlamento quasi tutto ostile all’accordo preliminar­e di concordato con l’Ue. Ma ha ribadito, stavolta a muso duro, che la probabile bocciatura parlamenta­re avrebbe due esiti: “O ulteriore incertezza e divisioni”, cioè l’abisso del no deal, o “nessuna Brexit”. E ha vinto lo scontro più atteso, quello con il capo dell’opposizion­e Jeremy Corbyn, che ha dimostrato di non aver letto, o non capito, la soluzione per il confine nord irlandese.

INTANTO EMERGE un nuovo scenario, ricostruit­o dall’autorevole commentato­re politico Robert Peston: governo battuto al primo voto sul trattato di divorzio, sterlina a picco, panico generale, no deal incombente. La May ripropone il piano con modifiche cosmetiche e i parlamenta­ri conservato­ri, sotto quell’en or me pressione, stavolta lo sostengono. Commento (presciente?) di Peston: “Se un accordo che la maggioranz­a dei parlamenta­ri ora respingono come un affronto al diritto di autodeterm­inazione democratic­a venisse approvato per paura della reazione punitiva degli investitor­i e del grande capitale, questo diventereb­be terreno fertile per estremisti e p o p u l is t i ”. Non la migliore premessa per la missione di ieri pomeriggio a Bruxelles, dove May ha incontrato il presidente della Commission­e Juncker e il capo negoziator­e Michel Barnier.

Ostacoli anche qui, perché ora che la tensione è massima, a pochi giorni dal summit europeo di domenica che dovrebbe dare il nullaosta all’accordo di divorzio e al testo preliminar­e del negoziato sui futuri rapporti commercial­i, diversi Paesi membri sfruttano l’occasione per ottenere concession­i. I diritti di pesca sono un grave motivo di contenzios­o. Il Regno Unito vuole che l’accesso dei Paesi europei alle sue acque venga negoziato su base annuale: Francia, Danimarca e Paesi Bassi chiedono il mantenimen­to degli accordi attuali, con quote stabilite in base a una formula fissa.

POI C’È LA SPAGNA: il primo ministro Pedro Sánchez ha minacciato di votare contro l’accordo se la questione di Gibilterra, enclave britannica in territorio spagnolo, non verrà estrapolat­a dal trattato e negoziata in via bilaterale tra il suo Paese e il Regno Unito durante il periodo di transizion­e. La sua proposta è quella di una sovranità condivisa. Nessuna delle parti vuole cedere: in gioco, per i due ex grandi imperi, ci sono antiche questioni di orgoglio nazionale. Il ministro degli Esteri spagnolo Josep Borrell ha gettato benzina sul fuoco, dichiarand­o di essere molto più preoccupat­o per l’unità del Regno Unito che di quello spagnolo, e di essere convinto che sarà il primo a smembrarsi prima. Non è solo retorica: ormai da oltre un anno la Spagna ha fatto sapere che, se una Scozia indipenden­te volesse entrare nell’Unione europea, Madrid farebbe venire meno il suo veto, imposto per decenni dai timori di contagio in Catalogna. Un messaggio per Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese e leader dello Scottish National Party che in queste ore è impegnata in consultazi­oni esplorativ­e con Labour, Lib-Dem e conservato­ri moderati. Pensa a una “coalizione dell’opposizion­e” per trovare alternativ­e al deal attuale, senza escludere un secondo referendum. La Sturgeon è la grande sconfitta della consultazi­one indipenden­tista del 2014,

Domenica il summit La Germania non partecipa se il deal non si chiude oggi In ballo anche la Scozia

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Afp/Ansa Tempi stretti Theresa May è arrivata a Bruxelles per incontrare il presidente della Commisione Junker. Angela Merkel potrebbe non esserci

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