Csm commissariato e nomine bocciate dal Consiglio di Stato
I giudici amministrativi “obbligano” Ermini a eseguire una sentenza
■Il 18 ottobre in un altro giudizio accusava l’organo di autogoverno della magistratura di “slealtà”. Un nuovo verdetto, giorni dopo, non solo ribalta le scelte di Palazzo dei Marescialli, ma costringe a cambiarle
Il 18 ottobre era giunta l’accusa di “slealtà”, vergata dal Consiglio di Stato, per la nomina del presidente del Tribunale di Verona. Il 7 settembre 2016 il Csm, all’unanimità, nomina Antonella Magaraggia e il suo concorrente Salvatore Laganà ricorre al Tar, che annulla la nomina per difetto di motivazione. Csm e ministero della Giustizia prima ricorrono al Consiglio di Stato, quindi rinunciano, annunciando che rispetteranno la sentenza del Tar. Salvo poi riproporre Magaraggia. “Il comportamento processuale del Csm e del ministero – scriverà il Consiglio di Stato – è risultato improntato a slealtà”. Questo accade con la vecchia consiliatura.
AL NUOVO Csm, pochi giorni dopo, una botta ancora più pesante. Il Consiglio di Stato, per far applicare la sua sentenza che accoglie il ricorso del magistrato Sergio Del Core e annulla le delibere del Csm sulla nomina di quattro magistrati (Marcello Iacobellis, Stefano Palla, Piero Savani e Aldo Cavallo) a presidente di Sezione della Cassazione, nei fatti esautora l’intero Csm. Dispone che il vicepresidente David Ermini, nominato Commissario ad acta, faccia rispettare la sentenza “indipendentemente dal Csm”. In altre parole: gli ordina di ottemperare. È il 24 ottobre scorso quando la Quinta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Giuseppe Severini, sottolinea la “insistita illegittimità ed elusività” dell’operato del Csm. E incarica Ermini di procedere, entro 15 giorni, alle nomine dei presidenti di Sezione della Cassazione, in sostituzione del Csm. Viene “designato, e in via diretta, quale Commissario ad acta l’attuale vicepresidente del Csm, senza facoltà di sub-delega”. Il motivo: “Va escluso che questa nuova attività possa essere attribuita all’organo di autogoverno nel suo complesso, cui si imputa l’atto di cui al presente giudizio”.
Parole durissime. “In uno Stato di diritto – prosegue la sentenza – il primato del diritto accertato mediante sentenze passate in giudicato, vincola ogni amministrazione pubblica, quali che ne siano le caratteristiche o le prerogative”. Il Csm non può e non deve fare eccezione: vincola “anche l’attività di un organo di governo autonomo della magistratura. Diversamente, le posizioni dei singoli magistrati nei suoi confronti si convertirebbero in una pratica soggezione senza effettive tutele di giustizia rispetto alla sua ribadita volontà, in negazione reale del principio di legalità e del diritto al giudice: che per Costituzione spetta al magistrato non meno che al cittadino comune”.
Nessuno, quindi, neanche il Csm, può sentirsi al di sopra di una sentenza. E quindi impone a Ermini di farla rispettare evitando qualsiasi altro passaggio in seno all’organo di autogoverno dei magistrati. Ed Ermini obbedisce.
Il Csm questa volta ha do- vuto capitolare. L’esautorazione da qualsiasi ulteriore ruolo nella vicenda, l’impossibilità di intervenire ulteriormente, sancisce la gravità della situazione. Il Csm non ha volontariamente cambiato rotta, in questo caso, ma è stato letteralmente costretto a eseguire, tanto più dopo l’accusa di “slealtà” incassata pochi giorni prima.
Appena ha letto d’essere stato nominato Commissario ad acta, Ermini ha cercato di comprendere la storia di questo caso, terminato con l’ordine “tassativo” di ottempe rare. S’è consultato con l’ufficio studi, s’è fatto spiegare l’intera vicenda, a cominciare dalla prima puntata, lontana nel tempo.
ERMINI ASCOLTA, chiede lumi su questioni di diritto amministrativo perché non è uno specialista in materia (è un avvocato penalista) e poi si decide a fare quel che gli viene ordinato dalla sentenza. Si chiude da solo nel suo ufficio – in qualità di Commissario ad acta, si badi, e non di vicepre- sidente del Csm – ed esegue: compara Del Core con gli altri quattro candidati e gli dà ragione. Così come stabilito dai giudici amministrativi. Aveva 15 giorni di tempo. Se ne prende tre. Del Core – su ordine del Consiglio di Stato che nei fatti ha commissariato il Csm – può finalmente andare a fare il presidente di sezione. Magra consolazione. Andrà in pensione nel febbraio del 2019. Ma il suo caso diventa un precedente importa ntissimo. Un’altra intimazione, risulta al Fatto, era partita dal Consiglio di Stato con v i c e p r e s idente Giovanni Legnini. Sempre per lo stesso caso l’aveva nominato Commissario ad acta, ma Legnini non diede seguito a quella pronuncia perché, nel frattempo, Quinta commissione e plenum avevano riconfermato la loro decisione con una nuova delibera.
Si spiegano così gli ultimi paletti del Consiglio di Stato fissati in maniera invalicabile. Così a Ermini non resta che eseguire. E anche in fretta.
Il conflitto
Il predecessore Legnini, invece, non aveva dato seguito alla sollecitazione