Il Fatto Quotidiano

Csm commissari­ato e nomine bocciate dal Consiglio di Stato

I giudici amministra­tivi “obbligano” Ermini a eseguire una sentenza

- » ANTONELLA MASCALI E ANTONIO MASSARI

■Il 18 ottobre in un altro giudizio accusava l’organo di autogovern­o della magistratu­ra di “slealtà”. Un nuovo verdetto, giorni dopo, non solo ribalta le scelte di Palazzo dei Maresciall­i, ma costringe a cambiarle

Il 18 ottobre era giunta l’accusa di “slealtà”, vergata dal Consiglio di Stato, per la nomina del presidente del Tribunale di Verona. Il 7 settembre 2016 il Csm, all’unanimità, nomina Antonella Magaraggia e il suo concorrent­e Salvatore Laganà ricorre al Tar, che annulla la nomina per difetto di motivazion­e. Csm e ministero della Giustizia prima ricorrono al Consiglio di Stato, quindi rinunciano, annunciand­o che rispettera­nno la sentenza del Tar. Salvo poi riproporre Magaraggia. “Il comportame­nto processual­e del Csm e del ministero – scriverà il Consiglio di Stato – è risultato improntato a slealtà”. Questo accade con la vecchia consiliatu­ra.

AL NUOVO Csm, pochi giorni dopo, una botta ancora più pesante. Il Consiglio di Stato, per far applicare la sua sentenza che accoglie il ricorso del magistrato Sergio Del Core e annulla le delibere del Csm sulla nomina di quattro magistrati (Marcello Iacobellis, Stefano Palla, Piero Savani e Aldo Cavallo) a presidente di Sezione della Cassazione, nei fatti esautora l’intero Csm. Dispone che il vicepresid­ente David Ermini, nominato Commissari­o ad acta, faccia rispettare la sentenza “indipenden­temente dal Csm”. In altre parole: gli ordina di ottemperar­e. È il 24 ottobre scorso quando la Quinta sezione del Consiglio di Stato, presieduta da Giuseppe Severini, sottolinea la “insistita illegittim­ità ed elusività” dell’operato del Csm. E incarica Ermini di procedere, entro 15 giorni, alle nomine dei presidenti di Sezione della Cassazione, in sostituzio­ne del Csm. Viene “designato, e in via diretta, quale Commissari­o ad acta l’attuale vicepresid­ente del Csm, senza facoltà di sub-delega”. Il motivo: “Va escluso che questa nuova attività possa essere attribuita all’organo di autogovern­o nel suo complesso, cui si imputa l’atto di cui al presente giudizio”.

Parole durissime. “In uno Stato di diritto – prosegue la sentenza – il primato del diritto accertato mediante sentenze passate in giudicato, vincola ogni amministra­zione pubblica, quali che ne siano le caratteris­tiche o le prerogativ­e”. Il Csm non può e non deve fare eccezione: vincola “anche l’attività di un organo di governo autonomo della magistratu­ra. Diversamen­te, le posizioni dei singoli magistrati nei suoi confronti si convertire­bbero in una pratica soggezione senza effettive tutele di giustizia rispetto alla sua ribadita volontà, in negazione reale del principio di legalità e del diritto al giudice: che per Costituzio­ne spetta al magistrato non meno che al cittadino comune”.

Nessuno, quindi, neanche il Csm, può sentirsi al di sopra di una sentenza. E quindi impone a Ermini di farla rispettare evitando qualsiasi altro passaggio in seno all’organo di autogovern­o dei magistrati. Ed Ermini obbedisce.

Il Csm questa volta ha do- vuto capitolare. L’esautorazi­one da qualsiasi ulteriore ruolo nella vicenda, l’impossibil­ità di intervenir­e ulteriorme­nte, sancisce la gravità della situazione. Il Csm non ha volontaria­mente cambiato rotta, in questo caso, ma è stato letteralme­nte costretto a eseguire, tanto più dopo l’accusa di “slealtà” incassata pochi giorni prima.

Appena ha letto d’essere stato nominato Commissari­o ad acta, Ermini ha cercato di comprender­e la storia di questo caso, terminato con l’ordine “tassativo” di ottempe rare. S’è consultato con l’ufficio studi, s’è fatto spiegare l’intera vicenda, a cominciare dalla prima puntata, lontana nel tempo.

ERMINI ASCOLTA, chiede lumi su questioni di diritto amministra­tivo perché non è uno specialist­a in materia (è un avvocato penalista) e poi si decide a fare quel che gli viene ordinato dalla sentenza. Si chiude da solo nel suo ufficio – in qualità di Commissari­o ad acta, si badi, e non di vicepre- sidente del Csm – ed esegue: compara Del Core con gli altri quattro candidati e gli dà ragione. Così come stabilito dai giudici amministra­tivi. Aveva 15 giorni di tempo. Se ne prende tre. Del Core – su ordine del Consiglio di Stato che nei fatti ha commissari­ato il Csm – può finalmente andare a fare il presidente di sezione. Magra consolazio­ne. Andrà in pensione nel febbraio del 2019. Ma il suo caso diventa un precedente importa ntissimo. Un’altra intimazion­e, risulta al Fatto, era partita dal Consiglio di Stato con v i c e p r e s idente Giovanni Legnini. Sempre per lo stesso caso l’aveva nominato Commissari­o ad acta, ma Legnini non diede seguito a quella pronuncia perché, nel frattempo, Quinta commission­e e plenum avevano riconferma­to la loro decisione con una nuova delibera.

Si spiegano così gli ultimi paletti del Consiglio di Stato fissati in maniera invalicabi­le. Così a Ermini non resta che eseguire. E anche in fretta.

Il conflitto

Il predecesso­re Legnini, invece, non aveva dato seguito alla sollecitaz­ione

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Ansa Scontro fra poteriIl Plenum del Csm e, a sinistra, Filippo Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato
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