Milano, altro che movida: i Navigli sono il nuovo luna park dello spaccio
La nuova centrale della droga Il luogo della movida, i locali e le luci del brand “Milano”, sono diventati la più grande piazza di spaccio della città 24 h su 24. Basta girare l’angolo e sembra di essere nella Scampia di una volta: prodotti e stoccati due
Rapido rapido. Passa di mano: pezzo, pallina. “Vedi è semplice”. Marco acquista con 80 euro un paio di dosi abbondanti. Sorride: “Oggi è sabato, oggi si può, domani non vado in ufficio”. Lavora per una multinazionale. Ottima laurea, ottima carriera. Marco saluta cordiale e rientra nel pub, stasera è sabato. Un paio di respiri e il pusher è già volato via. L’angolo è buio, oltre le luci sull’acqua. C’è folla da non poter camminare. Cinque, dieci, cento locali. Tavolini, dehor, cocktail, bancarelle. Rapido rapido, di nuovo e ancora: pezzo, pallina, dose. In grammi: 0.80/0.50 di cocaina. Così, centinaia di volte in una sera.
La Darsena, e poi a scendere giù per i rami del Naviglio. Triangolo magico per la parata della movida milanese. Da piazza Ventiquattro maggio fino al parco Baden Powell, Porta Genova con la sua stazione dei treni e ancora via Vigevano, il quartiere popolare di Barbavara: oltre, via Tortona e il distretto della moda e del design. È Milano, cuore di città, piazza di spaccio, senza il degrado della siringa di Rogoredo,
tossic-park strappato allo sguardo, nascosto nel bosco, allarme degrado, non allarme sociale, tossici sì ma ingabbiati nel parco, fiaccati dall'eroina. Non qui sui Navigli, dove il non visto sta dietro le luci e i vestiti alla moda. Studenti, professionisti, avvocati, medici, politici. Drogati integrati. Qui: “Tutti vogliono un pezzo”. Sul carto-manifesto-evento che recita la frase da un muro di una casa di ringhiera, la scritta è in un angolo. Canta Salmo, rapper sardo da record d’incassi. Diciamo subito: chi organizza il concerto non vuole pubblicizzare in cinemascope lo spaccio. Pezzo uguale canzone. Chiaro. Ma chi passa, chi qua ci vive, tra la Ripa Ticinese e il Naviglio Grande, intende altro. “Pezzo” sta per cocaina (che nello slang da strada poi si declina da “scaglia” a “raglia” a “barella”). L’area è vastissima, come sulle ramblas di Barcellona, tra luci e angoli bui. La polizia ci mette cuore e anima, ma non è facile. Qui tutto è liquido, sfuggente, come l’acqua del Naviglio e le luci nella nebbia.
Turno 19-24, Commissariato Milano-Porta Genova. Gli “sbirri” arrivano in borghese, auto civile: uno, due, anche tre passaggi in macchina. Saliamo con loro. Si fissano ombre. Bastano un paio di movimenti e chi sulla strada ci sta da oltre 24 anni capisce al volo. Si chiama alla radio, volante, reparto anticrimine, unità cinofile. Un controllo veloce. Se c’è roba si sequestra, se mancano documenti si ferma. E poi si riparte. Due commissariati, Porta Genova e Ticinese: dall’inizio del 2018, 239 servizi svolti, 3.864 persone identificate, 22 arrestate, a volte con l'appoggio dell’Ufficio prevenzione generale della Questura. Lo chiamano protocollo “Penelope”: 924 servizi straordinari spalmati su tutta Milano, con i suoi nove municipi. La città sembrerebbe sotto controllo, ma non è semplice. Sul Naviglio la droga è smart, il pusher porta poche dosi, vende e riparte. Se viene fermato il quantitativo minimo lo salva. Al limite una sanzione amministrativa, forse un processo per direttissima, magari (se straniero) un ordine di espulsione, ma è tutto sulla carta, il giorno dopo si ricomincia. La movida ringrazia. Il crimine pure, e non solo quello dello spaccio. “Le rapine – racconta un poliziotto in macchina – sono quotidiane e sono spesso conseguenza dello sballo. Vittime quasi sempre ragazzi bene che dopo dieci cocktail e un paio di dosi di cocaina, escono per strada strafatti e vengono derubati di Rolex e cellulari”. Il copione è sempre lo stesso: “Hai una sigaretta, poi un paio di spintoni, una bottigliata e via”.
Poche dosi alla volta. L’ordine è tassativo. Per questo i sequestri da strada producono numeri non allarmanti: in 11 mesi, un etto e mezzo di cocaina e oltre mezzo chilo di droghe leggere. I rifornimenti però sono a ciclo continuo. E i numeri non ufficiali raccontano di circa due chili settimanali di cocaina che scorre sui Navigli in buste da 0.80 grammi, quattro i chili di sostanze leggere, senza contare le pastiglie e anche l’eroina. Un vero e proprio luna-park dello sballo. Numeri enormi se solo si pensa a quanto emerso dall’inchiesta dello scorso giugno sulla piazza di spaccio della Comasina (periferia Nord della città), una delle più importanti del Nord-Italia. Qui, dati alla mano, due chili e mezzo di cocaina, spacchettata in dosi da 0.4 grammi vendute a 30 euro, producono ogni mese “solo” 185mila euro d’incasso. A livello cittadino, poi, fare i conti è pressoché impossibile.
Ogni piazza – Bruzzano, San Siro, Barona, solo per citarne alcune – ha il suo libro mastro. Per capire, però, basta sfogliare i verbali di Franchino Petrelli, narcos alla milanese oggi collaboratore di giustizia che spiega: “Sulla piazza di Milano arrivano anche tre tonnellate di droga alla settimana (…). C’è poi chi prende due pacchi (chili, ndr) alla volta, paga in battuta e poi magari ritorna il giorno dopo. (…). All’inizio non pensavo che questo tipo di droga venisse bruciato così rapidamente, perché io ero rimasto ai tempi in cui la cocaina era un’altra cosa”. Tanta droga, tanto denaro. “Io ho provato a contare i soldi con la macchinetta per quattro ore di fila. E lì, dopo, la moneta non è più moneta”. E i soldi diventano figurine da pesare: “Un milione di euro di vario taglio pesa circa 30 chili”.
Il fortino della droga in quattro vie: il “lato b” delle notti da sballo tra filo spinato, vedette e buchi nei muri per le dosi
Della narco-torta milanese, i Navigli sono una gran bella fetta. Sulle due ripe viene venduta la droga, la “premiata ditta Spaccio Spa” sta qualche metro dietro. Quattro strade: via Gola, via Pichi, via Segantini, via Argelati. Case popolari, occupazioni su occupazioni. Comunità araba, ma anche sinti, e anarchici nostrani. Un fortino anti-sgombero, dal profilo urbano inaccessibile. Un suq affacciato sul Naviglio Pavese. Pochi metri e sei di nuovo nella movida. Il manifesto di Salmo si intravede laggiù, verso la Darsena. Ma qui la musica cambia. I civici 1,3,6 di via Pichi sono tutti occupati. Alcune famiglie legate alla camorra che sembra controllino tutto. Di fatto, i pusher fanno capolino già alle otto della sera, con l’inverno anche prima. Ci arriviamo. All’angolo, ecco il primo cavallino: tuta e felpa nera, Maghreb. Un altro arriva dal Naviglio e s’infila rapido in un palazzo. Nei cortili popolari, dopo le dieci di sera, alcuni pit-bull girano liberi. Entrare è impossibile. Da qui, ogni giorno, circa 140 pusher rimontano verso i Navigli. Chi a piedi, chi in bici. La droga si trasporta in tasca o dentro le auto a noleggio, addirittura nei borsoni dei vari food-delivery. Per un pusher fermato dalla polizia, altri due sono già pronti a partire. I pacchi si stoccano invece nelle cantine di via Gola, in cunicoli aperti e condivisi. Poco oltre, via Segantini. In quel che resta dell’ex cascina, già sgomberata nel 2009, le mini-dosi si nascondono nelle trappole per topi. Un cancello è bloccato con un enorme lucchetto. Qui ci si chiude dentro con auto e roulotte. Fuori, a volte, bazzica quella che sembra una guardia giurata. In realtà è un vedetta. Le dosi passano da un buco nel muro che dà direttamente sul parco antistante. Oltre c’è la piscina Argelati. Si era detto (ma non era vero) che ci dormì anche Igor il Russo. Prima dell’ingresso dell’impianto, ci sono porte-finestre a livello dalla strada. Sono vie di fuga o di entrata della “roba”. In via Argelati qualcuno ha piazzato un filo spinato sull’entrata dei box, per evitare che gli spacciatori scavalchino. L’immagine è il simbolo di un assedio percepito. I capi passano oltre e stoccano al civico 40, nei box privati di cui hanno chiavi e codici d’ingresso. Chi comanda sono in parte gli stessi arrestati durante la vecchia retata del 2009. Hanno soprannomi da battaglia: Johnny, Alì, Mammuth. Arabi, ma anche italiani. Da via Argelati si arriva al parco Baden Powell. Qui lo spaccio è en plein air 24 ore su 24. Da qui, si arriva di nuovo al Naviglio: quello Grande, quello del Vicolo dei lavandai e dei pittori, quello che dopo Expo si è dato una bella rinfrescata. Eppure poco cambia. Anzi, se possibile, peggiora. Parola di chi, da poliziotto, qui ci lavora dal 1994.
Dalla movida di luci al suq nero, e ritorno. Tutto: rapido rapido. Con pusher nordafricani e pezzi di piazza che di mese in mese cambiano gestore. Oggi, per esempio, tutta la zona di via Vigevano che parte dalla Stazione di Porta Genova è in mano a un gruppo di moldavi. Vestono bene, nessuno li nota. Gli affari criminali sull’acqua del Naviglio vanno a gonfie vele. La polizia controlla e lavora duro, a volte anche oltre il richiesto da un stipendio sempre troppo magro. C’è invece la politica che, stando alla voce comune di residenti e commercianti, fa nulla. Decine le denunce arrivate al sindaco di Milano Giuseppe Sala e al suo assessore per la Sicurezza Carmela Rozza. “Tutte inascoltate”, spiega uno dei rappresentanti del quartiere: “Il Naviglio va bene così com’è. Va bene la sua immagine ripulita da Expo che rimanda però un foto sfocata. Il naviglio sono soldi e affari, interessi, non importa se opachi come dimostrano alcuni locali”. La politica è più interessata al bosco dell’eroina di Rogoredo. Un buco nero nella città. Anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha annunciato: “Soldi e uomini contro la vergogna del bosco di Rogoredo”. Non restano insensibili nemmeno i grandi quotidiani che oltre alle cronache sponsorizzano iniziative culturali di poeti e attori invitati nel boschetto, a pochi metri dalla fermata dell’Alta velocità, per alcuni reading. Qui l’allarme droga si amplifica a causa del degrado urbano. Nel frattempo i Navigli colorati e “rifatti” sono diventati la più grande piazza di spaccio di Milano.
SPACCIO SMART Dai locali al suq nero Con un ricambio di 140 pusher a sera: il rifornimento è continuo