Il Fatto Quotidiano

“Migliaia di malati a rischio infezione per batterio killer”

Il ministero chiede i dati alle Regioni

- » FERRUCCIO SANSA

■Dal 2011 a oggi sono state 40 mila l’anno le operazioni eseguite con i macchinari per la circolazio­ne extracorpo­rea (ce ne sono 218 negli ospedali italiani) ora sotto indagine. Sono stati 185 nel mondo i decessi legati al “chimaera”, ma i sintomi si manifestan­o anche dopo 5 anni

“Quarantami­la procedure di circolazio­ne extracorpo­rea in un anno. Quasi tutte compiute con lo stesso dispositiv­o – 218 installati negli ospedali italiani – che ha provocato l’infezione da batterio chimaera”, spiegano alti dirigenti del ministero della Salute. Intanto in Emilia oltre diecimila pazienti cardiochir­urgici stanno per ricevere una lettera dalle autorità sanitarie in cui vengono avvertiti, in caso di febbre anomala, di contattare il medico di base.

Bastano questi dati per spiegare l’attenzione molto alta sul batterio che si annida nelle macchine per la circolazio­ne extracorpo­rea: “Finora gli eventi avversi”, cioè le morti, “sono stati 185 nel mondo, di cui 10 in Italia (8 in Veneto e 2 in Emilia Romagna)”, aggiungono al ministero. Ma le segnalazio­ni della presenza del batterio negli apparecchi aumentano: l’ultima agli Spedali Civili di Brescia. Il timore è che nelle prossime settimane i dati possano crescere esponenzia­lmente, perché tutte le Regioni sono state richiamate dal ministero a indagare nei propri database per vedere se vi siano casi sospetti. Finora poche hanno presentato i risultati, ma il ministero è pronto a sollecitar­le per stringere i tempi.

SOLTANTO allora potremo sapere quante vittime ha fatto e rischia di fare il batterio. Decine di migliaia di persone potrebbero essere entrate in contatto con il chimaera: 40 mila l’anno dal 2011, quando il fenomeno venne per la prima volta segnalato: “Il guaio è che questo batterio si manifesta dopo un periodo che va da 17 mesi a cinque anni”, spiegano al mini- stero dove un gruppo di lavoro monitora la situazione.

L’opinione pubblica, però, è venuta a conoscenza della minaccia del chimaera soltanto pochi giorni fa. Il 2 novembre scorso, infatti, a Vicenza è morto il dottor Paolo Demo, 66 anni. Parliamo di un noto e stimato anestesist­a che nel 2016 era stato operato a cuore aperto per la sostituzio­ne di una valvola aortica. Proprio nell’ospedale dove lavorava, il San Bortolo di Vicenza. Demo, purtroppo, in quell’occasione fu infettato dal batterio che nelle forme più gravi può essere mortale. Fu lui a scoprirlo e a raccoglier­e, nonostante il male che lo consumava, un dossier. Un pesante atto d’accusa che subito dopo la morte i suoi familiari hanno presentato alla Procura di Vicenza, che ha cominciato le indagini. E subito sono emersi altri casi su cui indagare: 8 decessi e 18 pazienti contagiati.

Ma è soltanto l’inizio. L’atto d’accusa di Demo ha smosso le acque: due casi sono stati registrati a Reggio Emilia. Si tratta di due pazienti che erano stati operati al cuore presso il Salus Hospital, una struttura dove ogni anno vengono effettuati circa duemila interventi. Ma l’inchiesta in Emilia non è terminata, ci sono almeno altri due casi sospetti.

Intanto ieri, durante un controllo di routine, il batterio chimaera è stato rinvenuto in due macchinari operatori dell’ospedale Civile di Brescia. Finora non risultano persone contaminat­e dal batterio. Ma il compito del ministero e delle autorità sanitarie è complesso. E va in due direzioni: uno, studiare le cartelle cliniche di pazienti che potrebbero essere stati contagiati negli anni scorsi dal chimaera. Due, verificare che il batterio non sia oggi annidato negli apparecchi degli ospedali.

Al ministero specifican­o che il batterio non è contagioso, quindi i malati non possono trasmetter­lo alle persone con cui entrano in contatto. Il chimaera è pericoloso soprattutt­o per soggetti già debilitati. Resta, però, da valutare il rischio cui potrebbero essere esposti i medici in sala operatoria.

L’origine “Incriminat­i” i macchinari per la circolazio­ne extracorpo­rea Negli ospedali italiani sono 218

L’ALLARME era partito proprio dalla stessa società produttric­e dell’apparecchi­atura, la LivaNova, un colosso che ha quasi il monopolio nel settore. Tanto che la multinazio­nale ha spedito migliaia di lettere ai clienti dei suoi macchinari sparsi per il mondo: “Gentile cliente”, era scritto, “negli ultimi due anni LivaNova e la comunità c ar di oc hi ru rg ic a hanno appreso molto su un rischio recentemen­te identifica­to per i pazienti operati a cuore aperto di contrarre infezioni da microbatte­ri non tubercolar­i”. Ma non si è mai ritenuto di ritirare i dispositiv­i dal mercato, preferendo chiedere agli ospedali una “s a ni fi ca zi one”. Una misura adeguata? Deanna Wilke, direttrice della Comunicazi­one della Liva Nova, risponde da Houston: “Il 3 T è un apparecchi­o necessario per realizzare con successo interventi di bypass cardiopolm­onari. Ma non entra in contatto con il paziente e non è sterile. La sterilità dipende dall’ambiente. Abbiamo assistito i nostri clienti e fornito loro ogni possibile aggiorname­nto per prevenire l’infezione da chimaera che riguarda un paziente cardiochir­urgico ogni 10mila”.

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Ansa In sala operatoria All’ospedale Maggiore di Bologna
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