Dolce&Gabbana: seduta di autocritica politica mentre contano i miliardi persi
L’antefatto: lunedì Dolce&Gabbana lanciano in Cina tre video con una modella asiatica che cerca di mangiare pizza, spaghetti e cannolo con le bacchette. Il cannolo è extra-large e una voce maschile fuoricampo ammicca: “Non è troppo grande per te?”. Seguono accuse di sessismo e razzismo, come se non bastassero il cattivo gusto e i video di cittadini cinesi intenti a pulire i water con i capi da loro firmati.
LA DIVISIONE CINESE del gruppo ritira i video, Stefano Gabbana la prende maluccio e, dal suo account Instagram fa sapere che “la Cina è un Paese di merda” e che “Cina ingombrante mafia sporca puzzolente”. Poi dice che è stato hackerato. Per ragioni imperscrutabili non viene creduto. Segue obbliga- torio video di scuse e professione di amore incondizionato per la cultura cinese. Uno vorrebbe poter smettere di guardare già dai funerei titoli di testa – sfondo nero con la scritta bianca in cinese, inglese e italiano – Domenico Dolce e Stefano Gabbana che si scusano e però, subito sotto compare il brand del gruppo, perché cosa genera più clic della pubblica umiliazione dei ricchi&potenti? Dopo è l’abisso.
Col nobile intento di entrare in sintonia con la cultura cinese offesa, l’ideona è replicare una seduta di autocritica politica, di quelle in voga ai tempi della buonanima di Mao, però in versione deluxe, con sfondo damascato rosso impero. I due reprobi guardano in camera, col maglioncino grigio che sussurra mestizia, le mani in vista su un tavolo da politburo del Pcc, come due funzionari corrotti qualsiasi. Inizia Domenico, e si vede che gli girano, lui in fondo c’entra fino a un certo punto, dice che le loro famiglie li hanno educati al rispetto di tutte le culture e non volevano offendere nessuno, chiude con un tic alla mano. Poi tocca a Gabbana, mobilità facciale al minimo, occhi gonfi, voce rotta quando dice “Vogliamo anche chiedere scusa ai cinesi nel mondo” e aggiunge, con una dolorosa presa di coscienza, “perché ce ne sono molti”. A casa si resta paralizzati dall’imbarazzo a immaginare il Chief Financial Officer che sibila: “Contrizione!!! più contrizione!” mentre su un mega-tabellone glitterato scorre il conto dei miliardi polverizzati, la sfilata a Shanghai cancellata, le vendite boicottate, il mercato cinese che implode, il contagio globale. È l’antico vantaggio competitivo dei regimi sulle democrazie, compattezza della reazione, prontezza dell’esecuzione. Moltiplicati per il potenziale rovina-celebrità dei social network.