Copiaincollare non è scrivere, capito smanettoni?
Si è convinti che l’avvento del computer e della Rete, regina incontrastata del copiaincolla, abbiano segnato una rivoluzione positiva nella storia della scrittura; ma è davvero così? Più di un dubbio nasce dalla lettura di Le parole necessarie di Giuseppe Pontiggia (Marietti 1820), libriccino di appena cento pagine, eppure prezioso più di tante scuole di scrittura. Cosa ci dice in queste tre lezioni-conferenza inedite il romanziere che in Italia è stato il primo e insuperato insegnante di scrittura creativa ( espressione per la quale non impazziva)? Ci dice che scrittori si diventa, ma a condizione di esserci nati. Ci dice che tuttavia chiunque può evolvere le proprie capacità retoriche, lavorando su una serie di regole funzionali “all’economicità dello stile” (una per tutte: “L’aggettivo deve aggiungere. Se non aggiunge, toglie”). Ci ripete che “scrivere non è trascrivere”, è un errore fatale non distinguere tra lingua orale e lingua scritta, e qui il libriccino diventa molto attuale. Per cinquemila anni si è parlato per non scrivere, da quando c’è la comunicazione digitale si scrive per non parlare; dunque non si parla, e soprattutto non si scrive (abbiamo perfino la perversione del “messaggio vocale”). Non ci fu verso, spiega la curatrice Daniela Marcheschi, di convincere Peppo Pontiggia a passare dalla penna al computer. “È tempo perso”, diceva. Ma come, non è invece tempo risparmiato? Per le parole inutili probabilmente sì. Per quelle necessarie, sicuramente no.