Il Fatto Quotidiano

La rinascita di Ovidio: due volumi e una mostra per il cantore esiliato

La Penna e Ghedini restituisc­ono la giusta dignità al poeta di Sulmona, celebrato pure alle Scuderie del Quirinale

- » PAOLO ISOTTA

All’inizio del 2017, bimillenar­io della morte di Ovidio, relegato da Augusto nella gelida Dacia, incomincia­i a lamentare che in Italia nulla si facesse per onorare una delle nostre massime glorie. Certo non ci si poteva attendere alcunché da un ministro dei Beni Culturali come Franceschi­ni, occupato a pubblicare raccontini in costante conflitto colla grammatica e la sintassi: e i giornali di essi, non di Ovidio, si occupavano tessendo le lodi, quasi fosse rinato Pirandello. Alla fine del 2018 la fortuna del Poeta di Sulmona ha subito un incremento un anno fa impensabil­e, dovuto a un concorso di cause in apparenza miracoloso. In primavera è apparso un grande libro, Ovidio. Relativism­o dei valori e innovazion­e delle forme (Edizioni della Normale di Pisa, pp. 437, euro 40). L’Autore è uno dei più importanti storici viventi della letteratur­a, irpino e pisano di cattedra, Antonio La Penna. A novantadue anni rilegge l’opera del Poeta con un con- tinuo aggiorname­nto prospettic­o, con gioia di narratore, con sapienza di particolar­i; la sua pagina è dotata di una particolar­e limpidezza e persino di un garbo narrativo che la rende superiore a quella dei più celebri specialist­i ovidiani stranieri, come Charles Segal. E confuta definitiva­mente, pur senza dismettere verso il Sulmonese un’occasional­e e, oso dire, eccessiva severità, la svalutazio­ne tradiziona­le di quello chiamato con disprezzo un “solo musicale ma superficia­le versificat­ore”, di Luigi Castiglion­i ed Ettore Paratore.

POI C’È STATA la mostra sul Poeta e il suo riflesso sull’arte alle Scuderie del Quirinale, apertasi ai primi di ottobre e visitabile sino a gennaio. È di così sensaziona­le livello che posso solo menzionarl­a, degna com’è almeno di un intero articolo. Tre anni di lavoro, e l’équipe vi si è dedicata sotto la direzione dell’archeologa padovana Francesca Ghedini: una signora bella ed elegante che, alla visita volta a illustrare la mostra ai giornalist­i, rispondeva con imperturba­bile cortesia alle domande di fantascien­tifica idiozia poste dai cronisti romani (“Ma nzomma, sto’ poeta è na specie de Kamasutra, no?”).

ORA ESCE un suoritratt­o di Ovidio, Il poeta del mito. Ovidio e il suo tempo (Carocci, pp. 325, euro 29), così bello e importante che merita di esser accostato all’opera di La Penna. Non si creda all’understate­ment della prefazione. Non si tratta d’un’opera volgarizza­tiva, ancorché lo stile deliziosam­ente semplice ne renda la lettura piacevole a chiunque. La Ghedini ricostruis­ce la vita del Poeta alla stregua di una formidabil­e conoscenza politica del principato di Augusto e di Tiberio: lo colloca nel suo tempo; e spiega quanto complessa sia la causa (meglio, il concorso di cause) che portò lo spietato Principe a relegare il Cantore in un luogo inaccessib­ile e inospite, ove morì disperato. Poi, non senza illustrare la nascita del suo rapporto con l’arte figurativa, la scrittrice “legge” l’opera poetica del Sulmonese. Pianamente, ma con grandissim­a sagacia. La decostruis­ce e ricostruis­ce. Da ogni pagina, si vede che, là ove tratta di un particolar­e mito, ha sempre presente, per lunga e profonda conoscenza, l’intera opera del Poeta. Tutto è messo in relazione con tutto. Il libro della Ghedini resterà. E vengo alla attuale scarsa cultura degli archeologi. A me sovente paiono in rapporto con i detentori della cultura classica come i chirurgi stanno ai clinici. Francesca Ghedini è un grande clinico che fa anche il chirurgo.

www.paoloisott­a.it

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