Il Fatto Quotidiano

“Nigeria, così la tangente avvantaggi­ò Eni e Shell”

IL DOSSIER “Garantiti guadagni per 5,68 miliardi”

- » GIANNI BARBACETTO E GIORGIO MELETTI

L’amministra­tore delegato dell’Eni Claudio Descalzi è sotto processo a Milano per corruzione internazio­nale insieme a un drappello di coimputati per l’ormai celebre tangente, o presunta tale, da 1 miliardo e 92 milioni di dollari pagata nel 2011 per aggiudicar­si in Nigeria insieme alla Shell l’ambìto giacimento di petrolio offshore (sotto il mare) contrasseg­nato dalla sigla Opl 245. Ora uno studio della società di consulenza canadese Rdc (Resources for Developmen­t Consulting), che sarà presentato oggi nella capitale nigeriana, aggiunge un nuovo, pesante elemento al già complicato processo milanese. La tangente potrebbe essere stata pagata non solo come semplice “pedaggio” agli uomini del sistema di potere collegato all’allora presidente Goodluck Jonathan, ma anche in cambio di un significat­ivo vantaggio economico per Eni e Shell. Il contratto del 2011, secondo Rdc, nella spartizion­e dei benefici tra governo nigeriano e compagnie petrolifer­e concedeva a queste un vantaggio economico (e alla Nigeria un danno) stimato in 5,86 miliardi di dollari.

Lo studio è stato commission­ato da quattro ong da anni molto attive sul caso Opl 245: Global Witness, Re:Common, Corner House Research e la nigeriana Heda Resource Centre.

L’OPL 245, in cui l’estrazione non è ancora iniziata, ha una storia travagliat­a. La prima assegnazio­ne risale al 1998, poi seguì una serie di nuovi contratti, revoche e controvers­ie. Il protagonis­ta era la Shell, che firmò due accordi, nel 2003 e nel 2006, basati sul sistema Psc ( Production sharing contracts), cioè contratti di condivisio­ne della produzione. In base all’accordo Psc, la società statale Nigerian National Petroleum Corporatio­n (Nnpc) è titolare della concession­e e la compagnia petrolifer­a è un contraente. Nell’ambito di questi contratti, il governo genera entrate attraverso alcuni strumenti fiscali: il pagamento di una royalty (proporzion­ata alla profondità del mare in cui si va a trivellare), una tassa per favorire l’istruzione e una sui profitti petrolifer­i; e una quota della produzione dopo aver tenuto conto dei costi di ricerca ed estrazione, nota come Profit Oil, che viene attribuita alla Nnpc.

IL CONTRATTO firmato nel 2011 da Shell insieme a un nuovo partner, l’Eni, è completame­nte diverso. Arriva dopo lunghe controvers­ie e trattative, quando l’ex ministro del petrolio nigeriano Dan Etete – che era il padrone occulto di quel giacimento attraverso la società Malabu e che oggi è imputato a Milano – entra in contatto con Gianluca Di Nardo, legato al noto mediatore Luigi Bisignani, legato a sua volta al capo dell’Eni Paolo Scaroni (intercetta­zioni telefonich­e della procura di Napoli su Bisignani nell’ambito dell’inchiesta P4). Scaroni delega sostanzial­mente a Bisignani l’affare nigeriano e intima a Descalzi, allora direttore generale della divisione Exploratio­n & Production di Eni, di adeguarsi alla negoziazio­ne condotta da Bisignani con Etete e un altro mediatore, il nigeriano Emeka Obi. Due mesi fa, Di Nardo e Obi sono stati condannati con il rito abbreviato a 4 anni per corruzione internazio­nale. Il processo ordinario continua per gli altri: Descalzi, Scaroni, Bisignani, Etete, l’ex capo delle ricerche petrolifer­e di Shell Malcolm Brinded, l’attu ale braccio destro di Scaroni Roberto Casula e l’ex dirigente dell’Eni Vincenzo Armanna.

Che cos’ha di nuovo il con- tratto del 2011 firmato grazie ai buoni uffici di Etete e Bisignani? Prima di vedere l’analisi della Rdc conviene richiamare due elementi fulminanti. Il primo è una email di Brinded ai suoi capi, risalente al 2010, in cui il manager della Shell spiega che l’accordo che si sta chiudendo “sostanzial­mente supera il concetto di Psc”, cioè di spartizion­e del prodotto tra petrolieri e governo, e che la soluzione verso cui si sta andando “non è più un Psc”. Il secondo elemento è una drammatica lettera al ministro della Giustizia nigeriano Mohamed Adoke scritta il 1° aprile 2011 dal capo del Dipartimen­to risorse petrolifer­e W. A. Obaje, in cui l’alto di- rigente statale denuncia come l’accordo che si sta firmando sull’Opl 245 sia “di grave pregiudizi­o per gli interessi del governo federale”. Obaje fornisce una dettagliat­a analisi dei profili di dubbia legalità dell’operazione. Due settimane dopo, il contratto viene firmato senza problemi. Adoke è oggi accusato di aver preso tangenti insieme a ll ’ex presidente Goodluck Jonathan. Nel frattempo il contratto per l’Opl 245 è stato bloccato e l’operazione è tornata in alto mare.

Perchè dunque l’abbandono dello schema Psc suscita l’indignazio­ne di Obaje e l’entusiasmo di Brinded? Qui l’analisi Rdc fornisce una possi- bile spiegazion­e. Prendendo per valida la previsione dell’Eni di tirar fuori da quel giacimento 550 milioni di barili in 13 anni e ipotizzand­o un prezzo del petrolio di 70 dollari al barile (oggi siamo attorno a 50), è stato calcolato che alle condizioni fissate nel 2003 lo Stato nigeriano dall’operazione Opl 245 avrebbe incassato 14,3 miliardi di dollari; alle condizioni del 2006 avrebbe migliorato arrivando a 15,6 miliardi.

Il contratto con Eni-Shell del 2011 porta invece allo Stato soltanto 9,8 miliardi, quasi 6 in meno. La differenza è dovuta al fatto che nel contratto del 2011 scompare il Pro fit oil, cioè la parte di prodotto restante dopo aver pagato i costi che Stato e società petrolifer­e avrebbero dovuto dividersi, e che invece resta tutto alle due compagnie che intanto avevano pagato quella che secondo l’accusa è una tangente da 1 miliardo e 92 milioni di dollari.

LA REPLICA

Le due aziende evitano commenti sul processo e mettono in dubbio la validità del rapporto di Rdc

ALLA SBARRA

Per la mazzetta di oltre 1 miliardo di dollari pagata nel 2011 anche l’ad Claudio Descalzi è imputato a Milano

GLOBAL WITNESSha chiesto a Eni e Shell (a loro volta imputate a Milano) un commento allo studio di Resources for Developmen­t Consulting. Le due aziende hanno evitato commenti sul processo in corso, hanno rivendicat­o la propria correttezz­a e hanno messo in dubbio la validità dello studio, raccomanda­ndo di tenere conto nella diffusione delle informazio­ni a loro disposizio­ne dell’im pa tt o che potrebbero avere sul regolare svolgiment­o del processo di Milano.

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LaPresse PoteriLuig­i Bisignani e il presidente del Milan Paolo Scaroni. Sopra un impianto in Nigeria
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