Accordo con l’Europa sulla Brexit: povera May, altri guai in vista
Ai leader europei riuniti a Bruxelles sono bastati 38 minuti per approvare all’unanimità, ieri mattina, i due documenti che segnano la conclusione di 18 mesi di esasperanti negoziati fra Regno Unito e Unione Europea: accordo di divorzio e dichiarazione politica sui futuri rapporti. Un evento storico, ammantato di cupezza. “È un giorno triste” ha commentato il Presidente della Commissione Jean Claude Juncker, perché la Brexit “è una tragedia”. E il Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk si è abbandonato al lirismo: “Qualunque cosa accada, resteremo amici fino alla fine”. Al di là della retorica, il sollievo per la chiusura della prima fase di negoziati non può durare, perché la fase di massima tensione inizia ora che la patata bollente è passata ufficialmente alle contraddizioni della politica britannica.
In mattinata Juncker aveva dichiarato “Penso che il parlamento britannico, che è saggio, ratificherà questo accordo”. Più tardi, in una intervista esclusiva a Katja Adler della Bbc, è stato più esplicito: o così o l’abisso del no deal, l’uscita brutale senza paracadute a cui, a 4 mesi dalla data ufficiale di Brexit, il Regno Unito è tragicamente impreparato.
PARADOSSALMENTE il passaggio dell’ufficialità, che avvia il processo formale di ratifica degli accordi, mette i parlamentari britannici con le spalle al muro. La firma di Bruxelles, se davvero l’Ue non è disposta a riaprire i negoziati, riduce definitivamente gli spazi di manovra. I giornali inglesi anche ieri riferivano di trame e piani alternativi a questo accordo, ma sembrano unicorni, proiezioni fantastiche tenute in piedi per calcoli elettorali o impuntature ideologiche.
Più realisticamente, l’aritmetica parlamenta-
re suggerisce quattro scenari.
Il più probabile è che il deal della May non superi il primo voto alla House of Commons, previsto entro metà dicembre. Ieri Jeremy Corbyn ha diffuso un breve comunicato in cui ha definito l’accordo “un misero fallimento dei negoziati che ci lascia nel peggiore dei mondi possibili. Ci opporremo in Parlamento”. Al no del Labour, cruciale con i suoi 257 delegati, va sommato quello dei 35 in di pe nde nt is ti scozzesi, dei 12
Lib- Dem, dei 4 nazionalisti gallesi, di un nutrito gruppo di ribelli conservatori e, da ultimo, quello degli unionisti irlandesi del Dup, che dalle elezioni del giugno 2017 fanno da stampella esterna al governo. Anche ieri, la leader Arlene Foster ha dichiarato che i suoi 10 parlamentari non voteranno l’accordo e che, se dovesse comunque passare, riconside-
rerebbero l’appoggio esterno.
In questo caso, la May avrebbe circa tre settimane per presentare un nuovo piano. Dati i tempi risicati e l’opposizione dell’Ue a riaprire i giochi, difficile ipotizzare cambiamenti più che cosmetici. Ma in quei 21 giorni la paura del no deal - che nessuno vuole in questo parlamento - il prevedibile crollo della sterlina e la reazione negativa dei mercati, potrebbe finire per mettere tanta pressione sui parlamentari da indurli a riconsiderare il primo voto e procedere con l’a p p r o v azione in seconda istanza. La seconda ipotesi è che, una volta bocciato il deal, il Regno Unito chieda una estensione d e ll ’ articolo 50 ( quello che regola l’uscita dalla Ue) per riconsiderare il proprio approccio. La May lo ha già escluso e richiederebbe l’ok dei 27 stati membri, chiaramente ostili. C’è poi la prospettiva di tornare alle urne, preferita da Corbyn ma molto improbabile perché richiederebbe il voto dei Conservatori, che finirebbero per affossare il proprio governo con il rischio di ritrovarsi un socialista a Downing Street.
I N F IN E , il secondo referendum. Raccoglie crescenti consensi, ma comporterebbe un’estensione dell’art 50 approvata dagli altri Stati membri, una campagna all’ultimo sangue e un esito incerto. Consapevole di non poter contare sull’appoggio del Parlamento, la May continua la campagna di “ma rk et in g ” del proprio deal, “il migliore possibile”, cercando un dialogo diretto con gli elettori. Ieri ha pubblicato una lettera alla nazione in cui lo illustra e lo difende, mentre è in pieno lancio la campagna social # Back theBre xit
Deal. Scommette sulla legittima paura di un no deal. Ma anche sul fattore BoB: bored of
Brexit, stanchi di Brexit.
Punti di vista Per la premier è il “miglior risultato possibile”. Duro il laburista Corbyn: fallimento totale, voteremo no