A Milano in tram e quell’aula piena per Pippo Fava
Un pomeriggio tra l’ospedale per bambini, eccellenza della sanità, e gli studenti che non si arrendono
CAPITALE MORALE In quante altre metropoli potrebbe accadere di ritrovarsi stupiti per tanta passione e partecipazione?
Sapeste quanto è strano andare in tram a Milano… Eccovi frammenti di storie che spiegano perché Milano sia una città speciale, ma ancora non riesca a tagliare il cordone ombelicale con l’Italia lazzarona. Devi andare in un ospedale per bambini dall’altra parte della città e non sai a che santi votarti in un venerdì pomeriggio di pioggia. Che mezzi ci saranno? La metropolitana non ci arriva, sai per vecchia conoscenza della città. Con questo traffico, roba da spendere un capitale di tempo o di taxi. E invece da pochi anni arriva lì la nuova linea della metro, la famosa “lilla”. Tempo totale 27 minuti, compatibile con la giornata lavorativa. In ospedale il vigilante, vedendo che non sai bene da che parte andare, interrompe una telefonata privata, ti chiede lui se hai bisogno di informazioni.
AI PIANI il clima è delizioso, da film. Neonati che piangono, neonati che dormono, fratellini e sorelline intorno, madri felici e padri pure, cullette che passano in fila, neonati dietro i vetri con il loro nome sulle targhette, felicità e fiducia, personale efficiente che sa perfettamente cosa fare, severo e accogliente al tempo stesso, un’ora elastica di permanenza per tutti, nessuno che si intrufoli. Così pensi alla sanità milanese, e capisci perché vengano da ogni parte d’Italia a frequentarla. Esci e scopri, dovendo tornare su altro percor- so, che c’è una miracolosa Enjoy posteggiata dietro l’angolo. Il famoso car sharing in cui pare che la città sia tra le più avanzate d’Europa. In università, in via Festa del Perdono, ti attende un incontro per ricordare il giornalismo di Giuseppe Fava, il direttore del mensile catanese I Siciliani, ucciso dalla mafia. Il prossimo 5 gennaio saranno 35 anni. E recentemente il figlio Claudio, presidente della commissione antimafia della Regione Sicilia- na, ha ricevuto il solito avviso, proiettili in busta. Invitato a Milano, dunque, per entrambe le ragioni. Tutto pensato e organizzato da studenti e dottorandi. Ma quanta gente ci sarà, sotto questa pioggia, per parlare di un personaggio che il nostro giornalismo dimentica regolarmente di mettere tra i suoi grandi, e di cui perfino nelle scuole catanesi (dico per esperienza diretta) si sono perse le tracce? Apro la porta della grande aula 201: dal bas- so verso l’alto la vedo strapiena, centinaia di giovani, tanti seduti per terra o sulle scale. Mi domando in quante altre città italiane succederebbe. E soprattutto senza neanche uno di quegli sciagurati “crediti” che in tanti luoghi hanno trasformato gli studenti in mercenari del sapere.
Cambia scenario e un giorno e mezzo dopo è cerimonia popolare nell’hinterland profondo, a Trezzano sul Naviglio, che negli anni Settanta, nell’ indifferenza dei più, fu fortificata a furia di villette-bunker dai clan siciliani. Sta volta l’ amministrazione retta da un giovane sindaco ricorda con un monumento, qua al Nord, un giovane carabiniere di Casal di Principe di cui abbiamo per altre ragioni parlato di recente in queste Storie. Fu ucciso dalla camorra. Anche lui nella notte dei tempi, 36 anni fa. Centinaia di persone intorno a due suoi fratelli, anche loro carabinieri. La sera a Melzo, sempre grande hinterland della città, mentre impazza l’acquazzone, e ti interroghi su chi mai possa uscire di casa con quel tempo da lupi per discutere di insegnamento e cultura civile, scopri una sala riempita dall’università della terza età. E ti chiedi di nuovo dove questo accadrebbe, pensi che ci sia qualche energia speciale nel corpo della metropoli a spiegare questa e altre cose.
Poi però arriva uno dei prezzi, tra i più innocenti fra l’altro, che devi pagare a questo stato di felicità. Il sorriso complicemente ironico degli studenti o dei turisti stranieri su tram e autobus cittadini. Perché Milano cosmopolita ha messo sui mezzi pubblici gli avvisi in inglese. Fantastico, direte voi. Sì, l’idea. Solo che all’altoparlante ripetono ogni volta “Stock, next stock”. E dire che “stop” è una parolina facile, nel calcio è nato anche il mitico stopper partendo da quel semplice monosillabo. Ma la voce femminile che dà l’avviso non lo sa. E nemmeno chi ha registrato l’avviso ha saputo dirglielo. E nemmeno chi ha collaudato. E nemmeno chi sente tutti i giorni, da anni, “Stock, next stock”. Ma stock di che? I turisti si guardano divertiti. La città della moda e del design, della sanità, della partecipazione civile e del nuovo turismo internazionale, si è scoperta cialtrona davanti a un monosillabo. Davanti al problema più semplice ha detto stop. Anzi, stock.
Alta velocità Con la famosa linea “lilla” riesco a passare da una parte all’altra della città in 27’