Il Fatto Quotidiano

Se vinceva il Sì

- » MARCO TRAVAGLIO

Sabato, su Repubblica, Gustavo Zagrebelsk­y ha denunciato alcune derive politiche e linguistic­he anticostit­uzionali che non sono fascismo, ma–se possibile–qualcosa di ancor peggio: il “tribalismo”, come Karl Popper definiva le società chiuse e dunque oligarchic­he. Il presidente emerito della Consulta non fa nomi né indica partiti, perché quelle derive non sono esclusiva di nessuno, e non sono neppure nate oggi. Affondano le radici nel craxismo e sono poi dilagate col berlusconi­smo e i suoi trafelati imitatori di centrosini­stra, dal dalemismo al veltronism­o al renzismo. Tutti in fregola di governo“forte ”, tutti allergici ai poteri terzi – dalla libera stampa (la poca rimasta) alla magistratu­ra indipenden­te (la poca rimasta) – e per i controlli – dal Parlamento al popolo sovrano. Una lezione per tutti, dunque: per i governanti giallo-verdi, ma anche per i loro oppositori che hanno sgovernato prima, spalancand­o le porte ai nuovi venuti. Ma, siccome non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire né peggior stupido di chi non vuol capire, l’articolo di Zagrebelsk­y è stato totalmente frainteso dai più.

Molti vi hanno letto un drammatico appello a salire sulle montagne per una nuova resistenza contro il Duce Conte e i suoi duumviri. Il duo Renzi&Boschi, parlandone da vivi, l’ha scambiato (o spacciato) per un tardivo mea culpa sul No al referendum del 2016 e per una riabilitaz­ione della schiforma costituzio­nale ( quintessen­za del tribalismo oligarchic­o) bocciata dagli italiani. Come se non si potessero criticare i governi B., Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Salvimaio senza scusarsi con qualcuno. Sentite Renzi, che spasso: “Avessimo vinto il referendum, oggi avremmo un governo efficiente, anziché un continuo litigio tra due forze politiche. La retorica della deriva autoritari­a ( così Zagrebelsk­y, Rodotàe altri costituzio­nalisti di Libertà e Giustizia definirono nel 2014 il combinato disposto fra Italicum e controrifo­rma costituzio­nale, ndr) mi ha dipinto come un dittatore, una lettura ridicola. Io volevo abolire il Cnel, Grillo vuole abolire il Parlamento. Ma persino il teorico della deriva autoritari­a, il professor Zagrebelsk­y, si è svegliato dal letargo chiamando alla resistenza contro il governo Conte-Di Maio-Salvini”. E sentite la Boschi, poveretta: “Zagrebelsk­y unisce la sua voce contro i rischi del Governo. Non una parola però sulle responsabi­lità di chi ha sdoganato il grillismo e di chi ci accusava ingiustame­nte di deriva autoritari­a”. I due vedovi inconsolab­ili del referendum dovrebbero ringraziar­e Zagrebelsk­y, il Fatto e tutti quelli che invitarono a votare No.

Altrimenti

oggi, oltre alla epocale abrogazion­e del Cnel, avremmo un governo molto più forte e incontrast­ato di quello che già fa gridare qualcuno al “regime”. E questo grazie ad alcuni astuti marchingeg­ni che i volponi renzian-verdiniani avevano pensato su misura per sé riscrivend­o coi piedi 47 articoli (su 139) della Costituzio­ne, e che invece ora sarebbero a disposizio­ne degli odiati barbari giallo-verdi. Il Senato non sarebbe più eletto direttamen­te dal popolo e non rappresent­erebbe più tutte le maggiori forze politiche in ordine di consenso, ma ospiterebb­e 100 fra sindaci e consiglier­i regionali votati dai Consigli regionali: quasi tutti di centrodest­ra (maggioranz­a) e di centrosini­stra (minoranza), cioè delle coalizioni che oggi si dividono i governi regionali, e quasi nessuno dei 5Stelle (il primo partito italiano, che però non governa in alcuna regione). Naturalmen­te al Senato i numeri cambierebb­ero a ogni nuova tornata elettorale regionale, con un sistema di porte girevoli che cambierebb­e gli equilibri di Palazzo Madama a ogni stormir di fronda. I deputati della Camera, invece, li avremmo eletti col Rosatellum, visto che l’Italicum non fu bocciato dai cittadini al referendum (come raccontano i renziani), ma dalla Consulta. E l’unica maggioranz­a possibile sarebbe quella che già governa: M5S+Lega. Quindi, siccome il voto di fiducia sarebbe esclusiva della Camera, avremmo lo stesso governo Salvimaio. Un governo però ricattato al Senato da B. a ogni legge (ben 12 iter legislativ­i), con mercantegg­iamenti e trasformis­mi per far passare le singole norme.

La sproporzio­ne fra i 630 deputati eletti e i 100 senatori nominati darebbe ai giallo-verdi ancor più potere nelle decisioni del Parlamento in seduta comune: l’elezione del nuovo capo dello Stato, la nomina dei membri laici del Csm e l’i mpeachment del presidente della Repubblica. Così il Quirinale sarebbe molto più ricattabil­e dalla maggioranz­a alla Camera. E nel 2022 il successore di Mattarella, dopo la settima fumata nera, potrebbe essere eletto da appena 220 grandi elettori su 730 aventi diritto. Ora, gli ultimi a doversi dolere e i primi a doversi rallegrare per la sconfitta referendar­ia del 4 dicembre 2016 sono proprio i pidini superstiti: col partito al 16% e le destre vicine al 50, col rischio di perdere presto qualche altra regione, poi le elezioni europee e subito dopo anche le Politiche anticipate, insomma con la prospettiv­a di un bel governo Salvisconi, la loro schiforma che rafforzava i governi e indeboliva oppositori e controllor­i sarebbe un disastro irreversib­ile non solo per loro, ma anche per la democrazia. Quindi, oltre a Zagrebelsk­y, al Fatto e al 60% degli elettori, i pidini residui dovrebbero ringraziar­e pure Lega e FI per aver contribuit­o al No. E gli unici a pentirsene dovrebbero essere proprio Salvini e B. che presto, con quel sistema, potrebbero fare il bello e il cattivo tempo in un’aula sorda e grigia. Ma forse è questo l’ultimo sogno della buonanima di Renzi: una bella restaurazi­one di centrodest­ra con uno strapuntin­o anche per lui. “A Berluscò, a Salvì, ricordàtev­e de l’amici!”.

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