Ricondannato Bossi: 49 milioni ok al sequestro
In appello tre anni e 9 mesi per l’ex tesoriere della Lega e 1 anno e dieci mesi per il Senatùr, che però tra due mesi sarà prescritto
Un anno e dieci mesi a Umberto Bossi. Tre anni e nove mesi a Francesco Belsito. La Corte d’Appello di Genova condanna anche in secondo grado il Senatùr e l’ex cassiere del Carroccio. Accolte le richieste del pm Enrico Zucca, ma pene ridotte rispetto al primo grado perché una parte degli addebiti è già coperta dalla prescrizione.
È l’inchiesta per la truffa ai danni del Parlamento (compiuta attraverso i rimborsi elettorali) diventata, però, famosa perché aveva svelato il transito di denaro che dalle casse del partito era finito a Cipro e in Tanzania (per poi ritornare). Uno scandalo che aveva portato alle dimissioni del fondatore della Lega e alla fine di un’era politica.
DA QUI È NATA anche la confisca dei 49 milioni nelle casse della Lega che l’appello ha confermato. “Non cambia nulla: i soldi continuano a non esserci. Comunque chiedetelo agli avvocati, io faccio il ministro, non mi occupo di processi e denaro”, ha commentato Matteo Salvini.
Bossi, però, ormai dorme sonni tranquilli. Tra due mesi la prescrizione spazzerà via anche le accuse residue. Non ci sarà neanche tempo per la Cassazione. I capi di imputazione per truffa contestati nel processo erano tre: il primo riguarda 22,4 milioni. Secondo i pm, il reato sarebbe stato consumato nell’agosto 2009 e quindi è già prescritto. Il secondo invece riguarda 17 milioni e la prescrizione scatterà, appunto, a gennaio 2019. La terza tranche – 8 milioni – potrebbe non prescriversi, ma non riguarda Bossi e Belsito.
La sorte dell’ex cassiere è più incerta. Una parte delle accuse a lui rivolte potrebbe non rientrare nella prescrizione che scatterà a gennaio. Ma è una questione di mesi e si giocherà sul filo di lana in attesa della pronuncia della Cassazione. Belsito ieri era presente in aula: “Sono tranquillo con la mia coscienza, a differenza di qualcun altro. I magistrati hanno confermato la ricostruzione del primo grado: i soldi finiti in Tanzania e a Cipro sarebbero un’a pp rop ria zio ne indebita, mentre per me era un investimento. Tant’è che poi sono tornati in Italia. Non ho preso un euro”.
La prescrizione, appunto, non scalfisce la confisca dei 49 milioni nelle casse del partito oggi guidato da Salvini. Già, perché è nato tutto da questa inchiesta. La Lega così dovrà continuare a versare 100mila euro ogni due mesi, la rateizzazione concordata a settembre dall’attuale cassiere, Giulio Centemero, con i pm.
Un’inchiesta che ha travolto i passati vertici della Lega – per quanto Bossi sia tuttora senatore e presidente del partito – ma che ha suscitato imbarazzi anche nei successori. La richiesta illecita su cui si basano i rimborsi elettorali risale al periodo di Bossi e Belsito, ma una parte consistente del denaro fu incassata anche in seguito, quando la Lega era guidata da Roberto Maroni e Salvini (mai toccati dall’inchiesta).
Non solo. La Corte d’Appello ieri ha ridotto le pene nei confronti dei revisori dei conti dell’epoca (disponendo la restituzione dei beni loro sequestrati): 8 mesi per Diego Sanavio e Antonio Turci; 4 mesi invece per Stefano Aldovisi. Proprio da un esposto di quest’ultimo era partita l’inchiesta per riciclaggio, a carico di ignoti, che sta cercando di capire se parte dei 49 milioni incassati dalla Lega siano finiti su conti esteri. Finora, infatti, i pm sono riusciti a recuperare soltanto 2 milioni. Secondo i vertici della Lega il resto sarebbe stato interamente speso per l’attività del partito (dagli stipendi dei dipendenti alle iniziative politiche). Ma i pm
Ora che succede
Il Carroccio deve versare 100 mila euro a bimestre, ma i pm cercano il “tesoro”
Paola Calleri e Francesco Pinto si stanno muovendo per ricostruire tutti i movimenti. In particolare a suscitare l’interesse dei pm sono alcuni conti correnti dove sarebbero stati depositati 19,8 milioni.
SI TRATTA di depositi presso Unicredit (la filiale vicentina) e Banca Aletti (la sede milanese). I denari da qui nel 2013 sarebbero stati trasferiti su due nuovi conti aperti presso la filiale milanese della Sparkasse di Bolzano. La banca altoatesina sarebbe stata consigliata da Domenico Aiello (non indagato), avvocato di fiducia di Maroni e allora presidente dell’Organismo di Vigilanza dell’istituto. Due conti correnti, il Fattolo ha raccontato, con una vita molto breve. Perché aprire e chiudere conti nel giro di pochi mesi? Secondo i dirigenti della Lega, semplicemente perché altrove erano state offerte condizioni migliori. L’indagine dei pm genovesi stava per fermarsi qui quando nei mesi scorsi è arrivata una segnalazione: tre milioni dal Lussemburgo sono rientrati in Italia alla Sparkasse. Di per sé niente di illegale, ma i pm vogliono capire se quel denaro possa essere riferito alla Lega. Ipotesi respinta dal Carroccio e anche dalla banca: “Quel denaro è nostro”.