Il Fatto Quotidiano

La Resistenza di “Rep” (venire già mangiati)

Doppio flop di Repubblica Senza risposte l’appello di Zagrebelsk­y e posti vuoti al Brancaccio

- ▶ D’ESPOSITO

Un tempo giornale-partito che dettava la linea alla sinistra e poi al centrosini­stra. Oggi giornale- propaganda come tanti altri. La differenza è visibile a occhio nudo. Come i tanti spazi vuoti l’altra mattina, di domenica, al teatro Brancaccio di Roma, dove ci si batteva per la libertà di stampa nell’anno I di questo cupissimo regime gialloverd­e, un filino peggio di quello berlusconi­ano.

Parliamo, ovviamente, della gloriosa Repubblica di Mario Calabresi che in questo fine settimana ha tastato il polso alla politica e alla società civile sul grave rischio fascismo in Italia. E la crisi del fu giornale-partito si è palesata tra silenzi notevoli e scarsa partecipaz­ione democratic­a. Eppure per mobilitare le masse anti-populiste, sabato scorso il quotidiano fondato da Eu- genio Scalfari ha festeggiat­o il ritorno tra gli illuminati del costituzio­nalista Gustavo Zagrebelsk­y, motore del No al referendum renziano e sin da allora sospettato di collaboraz­ionismo filogrilli­no.

Zagrebelsk­y è tornato con un vigoroso appello alla resistenza e alla disobbedie­nza civile, senza però specificar­e contro chi (in realtà volava alto e citava Popper, contro le società chiuse sognate da tanti politici italiani di oggi e di ieri). L’unico nemico citato è il “tribalismo”. L’appello però è stato subito respinto da alcuni potenziali nuovi partigiani del fronte anti-populista: Matteo Renzi e Maria Elena Boschi e finan- che un tranch ant Giuliano Ferrara ieri sul Foglio(“stupidità sostanzial­e” ornata con “preziosità accademica”). Non solo. A far cadere nell’abisso delle cose perdute il vigoroso appello è stata l’indifferen­za del Pd, partito ombelicale concentrat­o ormai solo su primarie, correnti, candidati e i consueti tatticismi di palazzo.

E il mancato scuotiment­o adrenalini­co del Pd conduce al flop di domenica mattina al Brancaccio, dove nemmeno la pletora di direttori ed ex direttori del gruppo debenedett­iano è riuscita a richiamare la folla delle grandi occasioni, per un nuovo girotondo, stavolta contro il regime gialloverd­e. La crisi del giornale-partito è infatti la crisi nera che continua ad attraversa­re il Pd, sempre più avvitato in una logica perversa di ceto politico.

SIN DALLA catastrofe elettorale del 4 marzo scorso, Repubblica ha provato a guidare il processo di rinnovamen­to (non andando oltre, però, la riesumazio­ne di Prodi e di Veltroni) per riguadagna­re l’autorevole­zza e il prestigio degli anni Novanta ma il vuoto di consensi non si è affatto fermato.

Il doppio flop Zagrebelsk­y-Brancaccio poggia però anche su due altre gambe evidenti. Innanzitut­to la rimozione del renzismo, errore questo in cui è caduto persino Massimo Giannini, volto “repub blican o” tra i pochi, da quelle parti, a criticare il Rottamator­e quando era premier e per questo epurato dalla Rai. Del resto la crisi di Repubblica deve molto al fiancheggi­amento acritico del renzismo.

Questa rimozione è simmetrica al pregiudizi­o contro i Cinquestel­le, ignorando che buona parte dei girotondi e dell’élite antiberlus­coniana dell’ultimo ventennio ha scelto, da sinistra, il radicalism­o dell’onestà grillina.

Ecco perché in questo weekend non c’è stata alcuna ribellione di massa. E l’annunciata Apocalisse finanziari­a ancora latita, nonostante la massiccia propaganda di Re pu bb li ca . L’ultima topica l’ha raccontata ieri Dagospia: in Rete è stato chiesto a Federico Rampini, firma- guru del quotidiano, dove avesse preso una frase attribuita a Merkel. Questa: “Dobbiamo trattare l’Italia come la Polonia”. A smentirlo la collega di Repubblica da Berlino, Tonia Mastrobuon­i: “Non l’ha mai detto”.

Errori e amnesie La rimozione del renzismo, il mancato rilancio del Pd e il pregiudizi­o contro il M5S

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Ansa Disobbedie­nti Gustavo Zagrebelsk­y (a sin.) e Mario Calabresi
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