Draghi chiude il Qe ma annuncia l’aiuto per le banche
Europarlamento Il governatore: gli acquisti di titoli finiscono ora, ma servono ancora “stimoli significativi” (liquidità a basso costo)
Ora tutti aspettano la riunione della Bce del 13 dicembre per avere conferma di quanto Mario Draghi ha abilmente lasciato intendere - esplicitamente e attraverso eloquenti silenzi - ieri in audizione al Parlamento europeo. In sostanza, questo: il Quantitative easing, cioè l’acquisto di titoli sul mercato secondario, finirà effettivamente a dicembre come annunciato; qualche “aiutino” ai Paesi in difficoltà arriverà comunque (riacquisto del debito in scadenza, tassi ancora bassi, assai probabile nuova tranche di liquidità a basso costo per le banche); la cornice regolatoria dell’Eurozona non è destinata a cambiare né quanto ai conti pubblici, né quanto alle banche (gestione delle sofferenze eccetera).
PARTIAMO dal Qe, che chiuderà i battenti a fine anno dopo oltre tre anni e mezzo di onorato servizio. Secondo il numero uno della Banca centrale europea non ce n’è più bisogno: formalmente doveva servire a riportare l’inflazione al 2% indicato come obiettivo da Francoforte e, ha detto Draghi, i prezzi al consumo sono “aumentati al 2,2% nell’ottobre 2018 dal 2,1% di settembre”; certo, “l’inflazione core (al netto delle componenti più volatili come l’energia, ndr) continuano a essere deboli, ma sono risaliti dai minimi. Ci sono buone ragioni per essere fiduciosi che l’inflazione core crescerà gradualmente”. Perché? “I salari stanno salendo” e “si prevede una crescita più rapida”.
Bene pure il Pil dell’Eurozona: “Perché non stiamo dicendo che c’è un rallentamento dell’economia? Perché la crescita del commercio mondiale è più bassa, ma non è bassa: è sopra la media storica”. Il settore auto, ad esempio, colpevole del congelamento del terzo trimestre, “sta già rimbalzando in questi mesi”.
Nonostante questo, però, la situazione non è ancora tornata alla normalità. Nelle parole di Draghi: l’inflazione va come deve, ma “allo stesso tempo le incertezze chiedono pazienza, prudenza e persistenza nel calibrare la nostra politica monetaria”, quindi uno “stimolo significativo( corsivo nostro, ndr) è ancora richiesto”. Lo stimo- lo della Bce dovrebbe in futuro articolarsi in tre mosse: il già annunciato reinvestimento nei titoli di Stato che andranno a scadenza; tassi bassi ancora a lungo; una nuova tranche di operazioni di rifinanziamento a lungo termine Tltro ( Targeted Longer-Term Refinancing Operations), vale a dire liquidità a basso costo per le ban- che. Su questo, peraltro, Draghi ha evitato di rispondere: silenzio significativo. Le banche italiane, che hanno attinto largamente ai precedenti Tltro, hanno però in prospettiva più un problema di capitale che di liquidità: niente che non possa essere risolto prendendo soldi a Francoforte per investirli in titoli del debito pubblico con cui aumentare il capitale.
QUANTO alle speranze di un’altra Europa, per così dire, il governatore della Bce non pare speranzoso: difficile riformare in senso più “espansivo” il Patto di Stabilità, servono più che altro “politiche di bilancio solide che riducano le fonti domestiche degli choc” e un più stringente sistema di coordinamento delle politiche economiche. L’Eurozona, ha detto Draghi con quello che sembra un riferimento all’Italia, “può essere esposta a rischi che originano da politiche insostenibili che portano a debiti troppo alti, vulnerabilità del settore finanziario e mancanza di competitività”, rischi che “possono contagiare Paesi con fragilità simili o forti legami con quelli dove il rischio è originato”. Non solo: “Politiche insostenibili conducono alla fine ad aggiustamenti socialmente dolorosi e finanziariamente costosi che mettono a rischio la coesione dell’Unione”. Non si scherzi troppo, insomma, né da un lato (Italia) né dall’altro della barricata (Ue): con le crisi di mercato non si sa mai come va a finire. Lo spread, per ora, crede al dialogo Roma-Bruxelles: ieri ha chiuso a 290. In Borsa (+2,7%) festeggiano i bancari.