Nel limbo: risparmi sulle poltrone pochi, tagli sui servizi molti
Salvate dal referendum, restano abolite a metà: eppure gestiscono scuole e strade
Ah, le province: bistrattate, messe sul rogo e poi abolite. O forse meglio aborrite: perché, in verità, una abolizione completa non c’è mai stata. Oggi esistono enti intermedi di nome e di fatto, con gli stessi compiti di prima ma non gli stessi soldi, che hanno sì registrato un risparmio di gestione (o di politica), ma talmente esiguo da essere ininfluente sul bilancio dello Stato e peraltro al prezzo della cancellazione delle elezioni.
Il governo, ora, sembra intenzionato a rimetterci mano, dalla resurrezione leghista all’incertezza pentastellata. Quale che sia la decisione (cancellarle definitivamente e trasmetterne le competenze – dalle strade alle scuole – ad altri enti oppure ripristinarle nel pieno dei loro poteri) ecco intanto una fotografia della situazione.
COME E COSA. Le vecchie province, ancora previste in Costituzione nonostante il tentativo di cancellarle con la riforma costituzionale Renzi-Bo- schi, erano 107. Gestivano e gestiscono la sicurezza di 5.179 edifici che ospitano 3.226 scuole, frequentate da 2,6 milioni di studenti. A loro toccavano e toccano la manutenzione di 130mila chilometri di strade e 30mila chilometri di ponti, viadotti e gallerie. Inoltre sono responsabili della difesa del territorio e della tutela dell’ambiente. All’inizio del 2014, la legge Delrio (che allora era ministro del governo Letta) le ha trasformate: quattordici “città metropolitane” (Roma, Milano, Napoli e altri grandi centri) e decine di “enti di area vasta”. Sono quindi state definite “enti di secondo livello”, nel senso che i cittadini non votano più per eleggere il presidente e i consiglieri, ma l’elezione avviene tra i sindaci e i consiglieri dei comuni della zona.
SOLDI. La riforma è stata presentata come un’aggressione alle poltrone, alle maxi indennità e agli sprechi della politi- ca. In realtà il taglio degli amministratori – passati da circa 4mila a circa 900 – ha generato un risparmio all’ingrosso di 110 milioni di euro. Quanto al personale, a competenze invariate, ne è rimasto la metà: l’altro 50% è stato semplicemente trasferito ad altri enti. Zero risparmi, ovviamente. Quel che a partire dal 2015 è stato tagliato invece, e in modo selvaggio, sono i fondi delle province, che arrivano dalla Rc auto (e da altre imposte) più qualche ormai rado intervento perequativo dello Stato: circa 5 miliardi in meno in tre anni. Tagli che la stessa Corte dei Conti ha ritenuto irragionevoli e che non tenevano conto dei fabbisogni standard, ovvero di quelle quote calcolate in seno alle agenzie pubbliche per stabilire quanto serve a un ente per garantire servizi efficienti ai cittadini. Una riduzione già in atto dal 2011: 300 milioni in meno nel 2011, 1,76 miliardi l’anno dopo e 2,6 miliardi nel 2013. Tanto che per evitarne il default, in ogni legge di bilancio finora è stata inserita un’ancora di salvezza.
Quest’anno, sono i calcoli del presidente dell’Upi Achille Variati, alle province italiane servirebbero circa 280 milioni per evitare il default. Soldi che andrebbero a finanziare gli interventi a scuole e strade: anche perché, all’idea di trasferire queste competenze a Regioni e Comuni, non è mai corrisposto un trasferimento economico. A fronte delle molte responsabilità - anche penali - sindaci, consiglieri e presidenti di province e città metropolitane non percepiscono più indennità.
CITTÀ METROPOLITANE. Sono 14 in tutta Italia: Roma, Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Messina e Cagliari. I sindaci del capoluogo guidano automaticamente l’ente, i Consigli Metropolitani sono eletti con una votazione riservata ai consiglieri comunali e sindaci. Spesso il sindaco è di un colore, la maggioranza di un altro. Molte hanno ereditato i bilanci in rosso delle Province. “Nel complesso le Città Metropolitane (...) hanno subito tagli per quasi 1 miliardo tra il 2010 e il 2016 – si legge in un documento Anci del 2017 – e gli equilibri dei bilanci 2017 sono ottenuti solo grazie al l’applicazione di artifici contabili e comprimendo l’attività istituzionale sulle funzioni fondamentali minime”.
Dov’era l’austerità? Dal 2015 sono stati sottratti 5 miliardi in tre anni: da allora sono a rischio default
PROSPETTIVE. Or ala Lega lancia l’idea di reintrodurre l’elezione dei presidenti e degli organi amministrativi, idea supportata dall’Unione delle Province, che prova inoltre a suggerire di far convogliare nella gestione delle Province tutti gli enti di bacino esistenti e di continuare ad assicurarsi che sindaci e comuni siano i principali interlocutori nelle decisioni.