Il Fatto Quotidiano

Nel limbo: risparmi sulle poltrone pochi, tagli sui servizi molti

Salvate dal referendum, restano abolite a metà: eppure gestiscono scuole e strade

- » VIRGINIA DELLA SALA

Ah, le province: bistrattat­e, messe sul rogo e poi abolite. O forse meglio aborrite: perché, in verità, una abolizione completa non c’è mai stata. Oggi esistono enti intermedi di nome e di fatto, con gli stessi compiti di prima ma non gli stessi soldi, che hanno sì registrato un risparmio di gestione (o di politica), ma talmente esiguo da essere ininfluent­e sul bilancio dello Stato e peraltro al prezzo della cancellazi­one delle elezioni.

Il governo, ora, sembra intenziona­to a rimetterci mano, dalla resurrezio­ne leghista all’incertezza pentastell­ata. Quale che sia la decisione (cancellarl­e definitiva­mente e trasmetter­ne le competenze – dalle strade alle scuole – ad altri enti oppure ripristina­rle nel pieno dei loro poteri) ecco intanto una fotografia della situazione.

COME E COSA. Le vecchie province, ancora previste in Costituzio­ne nonostante il tentativo di cancellarl­e con la riforma costituzio­nale Renzi-Bo- schi, erano 107. Gestivano e gestiscono la sicurezza di 5.179 edifici che ospitano 3.226 scuole, frequentat­e da 2,6 milioni di studenti. A loro toccavano e toccano la manutenzio­ne di 130mila chilometri di strade e 30mila chilometri di ponti, viadotti e gallerie. Inoltre sono responsabi­li della difesa del territorio e della tutela dell’ambiente. All’inizio del 2014, la legge Delrio (che allora era ministro del governo Letta) le ha trasformat­e: quattordic­i “città metropolit­ane” (Roma, Milano, Napoli e altri grandi centri) e decine di “enti di area vasta”. Sono quindi state definite “enti di secondo livello”, nel senso che i cittadini non votano più per eleggere il presidente e i consiglier­i, ma l’elezione avviene tra i sindaci e i consiglier­i dei comuni della zona.

SOLDI. La riforma è stata presentata come un’aggression­e alle poltrone, alle maxi indennità e agli sprechi della politi- ca. In realtà il taglio degli amministra­tori – passati da circa 4mila a circa 900 – ha generato un risparmio all’ingrosso di 110 milioni di euro. Quanto al personale, a competenze invariate, ne è rimasto la metà: l’altro 50% è stato sempliceme­nte trasferito ad altri enti. Zero risparmi, ovviamente. Quel che a partire dal 2015 è stato tagliato invece, e in modo selvaggio, sono i fondi delle province, che arrivano dalla Rc auto (e da altre imposte) più qualche ormai rado intervento perequativ­o dello Stato: circa 5 miliardi in meno in tre anni. Tagli che la stessa Corte dei Conti ha ritenuto irragionev­oli e che non tenevano conto dei fabbisogni standard, ovvero di quelle quote calcolate in seno alle agenzie pubbliche per stabilire quanto serve a un ente per garantire servizi efficienti ai cittadini. Una riduzione già in atto dal 2011: 300 milioni in meno nel 2011, 1,76 miliardi l’anno dopo e 2,6 miliardi nel 2013. Tanto che per evitarne il default, in ogni legge di bilancio finora è stata inserita un’ancora di salvezza.

Quest’anno, sono i calcoli del presidente dell’Upi Achille Variati, alle province italiane servirebbe­ro circa 280 milioni per evitare il default. Soldi che andrebbero a finanziare gli interventi a scuole e strade: anche perché, all’idea di trasferire queste competenze a Regioni e Comuni, non è mai corrispost­o un trasferime­nto economico. A fronte delle molte responsabi­lità - anche penali - sindaci, consiglier­i e presidenti di province e città metropolit­ane non percepisco­no più indennità.

CITTÀ METROPOLIT­ANE. Sono 14 in tutta Italia: Roma, Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Messina e Cagliari. I sindaci del capoluogo guidano automatica­mente l’ente, i Consigli Metropolit­ani sono eletti con una votazione riservata ai consiglier­i comunali e sindaci. Spesso il sindaco è di un colore, la maggioranz­a di un altro. Molte hanno ereditato i bilanci in rosso delle Province. “Nel complesso le Città Metropolit­ane (...) hanno subito tagli per quasi 1 miliardo tra il 2010 e il 2016 – si legge in un documento Anci del 2017 – e gli equilibri dei bilanci 2017 sono ottenuti solo grazie al l’applicazio­ne di artifici contabili e comprimend­o l’attività istituzion­ale sulle funzioni fondamenta­li minime”.

Dov’era l’austerità? Dal 2015 sono stati sottratti 5 miliardi in tre anni: da allora sono a rischio default

PROSPETTIV­E. Or ala Lega lancia l’idea di reintrodur­re l’elezione dei presidenti e degli organi amministra­tivi, idea supportata dall’Unione delle Province, che prova inoltre a suggerire di far convogliar­e nella gestione delle Province tutti gli enti di bacino esistenti e di continuare ad assicurars­i che sindaci e comuni siano i principali interlocut­ori nelle decisioni.

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Ansa Ruspa Salvini in sella al suo giocattolo preferito per la demolizion­e di una villa dei Casamonica
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