IL BERTOLUCCI RENZIANO, O IL SELFIE COL MORTO
Proponiamo ai dottori della mente di costruire una scala del narcisismo sulla base di quanti necrologi egoriferiti si sia scritto nella vita. Prima succedeva solo sui giornali, dove oratori funebri di mezza tacca propinavano coccodrilli di finta contrizione nei quali già che c’erano istruivano i lettori circa i loro specifici casi biografici e la particolare stima che il deceduto portava loro, in forza del fatto, se non altro, di non poter essere smentiti. Oggi questo particolare genere letterario italiano si è esteso e raffinato sui social. Voi non avete idea di quanti perfetti imbecilli mitomani, affranti dal dolore, notifichino al mondo quanto fossero legati al morto del giorno, di solito come minimo un premio Nobel o Oscar o Pulitzer. Così – grazie al dopingdei motori di ricerca, su cui si avventano stormi di avvoltoi in cerca di qualcosa da dire - la fama e la gloria del deceduto si trasferiscono per un istante sulla nullità del celebrante, uno che ha avuto solo il merito o la fortuna di averlo incontrato in vita e non perde occasione di rosicchiare un pezzo della sua guadagnata celebrità.
Impossibile registrarli tutti. Il mondo del cinismo del pathos è sterminato. Ne valga uno a caso da esempio. Ieri il politico in disuso Matteo Renzi ha salutato così, con una foto su Instagram, Bernardo Bertolucci: “Lo ricordo da spettatore delle sue opere, come tutti. Ma anche come prezioso consigliere quando decidemmo di scrivere la nuova legge sul cinema a Palazzo Chigi: per la prima volta un governo aumentava i fondi della cultura…” ecc. Voi direte: vabbè, è Renzi. E, certo, fa ridere (Bertolucci aveva compreso il genio di Matteo, anzi era proprio renziano, come no; peccato non possa confermare). Ma è invece l’epitome, con aggravante propagandistica, di un egocentrismo osceno e senza limiti che ci porta sempre più a mettere le nostre persone davanti a tutti e a tutto, anche davanti alle bare, per venire bene nel selfie di commiato.