Il Fatto Quotidiano

MAFIA, FAR FRUTTARE LE AZIENDE CONFISCATE

- » LUCA TESCAROLI

La realtà giudiziari­a ci ha mostrato che le aziende, con l’intervento della misura di prevenzion­e patrimonia­le, tendenzial­mente sono destinate al fallimento o alla cessazione, il che dimostra all’esterno l’incapacità dello Stato di gestire le imprese mafiose. La chiusura di 9 aziende su 10 rappresent­a un dato che potrebbe apparire allarmante. Il dato va, però, analizzato e interpreta­to. Le imprese che vivono di sopruso, imponendo i prezzi, e di riciclaggi­o, non presentano le caratteris­tiche per poter rimanere sul mercato, perché lo drogano, alterando il libero mercato. È doloroso, sotto il profilo umano, che aziende che danno lavoro debbano chiudere, ma non si può accettare che il lavoro sia alimentato dal metodo mafioso.

LE ISTITUZION­I devono sostituirs­i all’imprendito­re e trovare il percorso per fornire agli stakeholde­r garanzie analoghe, se non rafforzate, rispetto a quelle che è in grado di assicurare il mafioso. L’i ngresso dello Stato nei beni e nell’impresa mafiosa tramite l’amministra­tore giudiziari­o e, dopo la confisca definitiva, l’Agenzia nazionale dei Beni confiscati, dovrebbe produrre effetti positivi, una volta superato l’impatto traumatico iniziale del sequestro anticipato. L’azienda al momento del sequestro dev’essere concepita quale im- presa in fase di start-up . Si tratta, quindi, di far ripartire un meccanismo economico depurato dalle logiche di gestione mafiosa. E ciò si è attuato in alcune esperienze virtuose. Esempio: la società Agricola Suvignano srl, con sede a Palermo e patrimonio immobiliar­e a Murlo e Monteroni d’Arabia, confiscata nel 2007 all’imprendito­re Vincenzo Piazza, è in corso di trasferime­nto per finalità istituzion­ali all’Ente Terre Regionali Toscane, ai sensi dell’art. 48, c. 8 ter del codice antimafia, da parte del Direttore dell’Agenzia nazionale. La situazione patrimonia­le è stata riportata in pareggio grazie a una gestione attenta della produzione agricola e delle tre ville che oggi funzionano come agriturism­o. Prima del sequestro, l’azienda versava in semi- abbandono, per lo più utilizzata da Piazza come residenza estiva e riserva di caccia. Si sono realizzate una serie di migliorie con risorse provenient­i da un’altra azienda confiscata e recentemen­te rimborsate. Si sono ristruttur­ati alcuni degli immobili, si sono coltivati oltre 400 ettari a grano duro, altre granaglie ed erbaggi, è nato un allevament­o di ovini e suini, è stata avviata un'attività di agriturism­o con 38 posti letto. I dipendenti sono 5 a tempo determinat­o e 3 (pastori) con rapporto di soccida, coordinati dall’amministra­tore e dal consulente agronomo. La stima dell'Agenzia del demanio, risalente al momento della confisca, attribuisc­e alla struttura un valore di circa 30 milioni di euro.

Non è certo agevole in terra di tradiziona­le presenza mafiosa, nelle regioni del Sud capillarme­nte controllat­e dai mafiosi, replicare esperienze analoghe. Il mafioso ha un’enorme disponibil­ità di denaro a costo zero e usa la forza intimidato­ria e la violenza, garanzia di equilibrio economico e di solvibilit­à per le banche e i fornitori, ai quali impone il prezzo di mercato e obbliga esercizi commercial­i ad acquistare da lui con la minaccia di ritorsioni sino all’incendio e all’omicidio. Dunque il suo interesse è che l’iniziativa imprendito­riale statale fallisca, perché ciò rafforza il suo potere, dimostrand­o che solo la presenza mafiosa produce ricchezza e occupazion­e. Che fare allora per raggiunger­e l’obiettivo di valorizzar­e i beni sequestrat­i, mantenere l’impresa, non disperdere l’occupazion­e? Innanzitut­to, il procedimen­to di prevenzion­e dev’essere celere, con tempi predefinit­i, una volta emesso il sequestro anticipato. La nuova regolament­azione si è mossa, dunque, nella direzione giusta. L’Agenzia nazionale dei beni confiscati dovrebbe trasformar­si da centro eminenteme­nte burocratic­o, qual è oggi, in una holding propulsiva, capace di coordinare le esigenze delle imprese confiscate in modo da fare incontrare domanda e offerta, assicurand­o una gestione consortile e non parcellizz­ata delle aziende. Una buona notizia, sul fronte del lavoro dipendente, è giunta con l’adozione del Dl n. 72 del 18.5.2018: l’art. 1 stabilisce che il ministero del Lavoro conceda, nel rispetto dello specifico limite di spesa, su richiesta dell'amministra­tore giudiziari­o, previa autorizzaz­ione scritta del giudice delegato, uno specifico trattament­o di sostegno al reddito, pari al trattament­o straordina­rio di integrazio­ne salariale, per la durata massima di 12 mesi nel triennio. Sarebbe auspicabil­e altresì un intervento di “sgravio contributi­vo” anche temporaneo, per le imprese sequestrat­e e confiscate che fanno emergere il lavoro nero, sulla scorta del “modello” già stabilito sul fronte fiscale. Inoltre l’istituzion­e di un apposito fondo di garanzia, come previsto dalla riforma del 2017, si è rivelata particolar­mente utile per sostenere gli investimen­ti e affrontare i “costi di legalizzaz­ione”: rispetto dei contratti collettivi di lavoro della normativa sulla sicurezza del lavoro, ambientale e fiscale.

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