Il Fatto Quotidiano

LEGGE POPOLARE PER DIFENDERE I “BENI COMUNI”

- » UGO MATTEI

La nostra Costituzio­ne prevede all’art. 42 che “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengo­no allo Stato, a enti o a privati”. Il successivo art. 43 specifica che, nel caso di “preminente interesse generale”, le “comunità di lavoratori o utenti” possono vedersi riservata la proprietà di determinat­i beni necessari per svolgere “servizi pubblici essenziali” nel campo delle energie o dei monopoli. Esistono dunque tre soggetti proprietar­i: a) i privati, b) lo Stato e i suoi enti pubblici, e c) le comunità di utenti e lavoratori. Questa tripartizi­one, essenziale per garantire costituzio­nalmente un vero stato sociale, costituiva una rottura teorica dei nostri Costituent­i rispetto alla tradiziona­le bipartizio­ne moderna, giacobina e liberale, per cui “il pubblico” e “il privato”, rispettiva­mente traduzione giuridica di Stato e mercato, costituisc­ono gli unici due poli dell’organizzaz­ione sociale.

QUANTI NEL 2011 si impegnaron­o a favore del referendum abrogativo del decreto Ronchi, noto come referendum sull’acqua, si resero conto di come, a dispetto della scelta costituzio­nale, l’antica bipartizio­ne si fosse radicata non certo a favore del pubblico. La tipica domanda che ci si sentiva rivolgere era: “Vi opponete alla privatizza­zione del servizio idrico? Ma siete matti a volere la gestione della rete idrica nelle mani del carrozzone pubblico corrotto e partitocra­tico?”. Ci volle qualche mese di campagna per spiegare che esisteva una terza via, costituzio­nale, che era stata elaborata pochi anni prima dalla c.d. Commission­e Rodotà. Fra il pubblico e il privato esisteva la possibilit­à dei beni comuni, priva di fini di lucro, collettiva, partecipat­a, ecologica e nell’interesse delle generazion­i future. Ben 27 milioni di italiani compresero questa lezione.

Il ddl Delega della Commission­e Rodotà non generò soltanto la grammatica teorica che consentì di articolare politicame­nte i beni comuni, vincendo il referendum contro il decreto Ronchi. Esso determinò pure importanti decisioni della nostra Corte di Cassazione, un dibattito accademico sui beni pubblici in cui la cultura giuridica italiana tornò alla ribalta internazio­nale, nonché tanti statuti e regolament­i comunali che incorporar­ono la nozione.

Durante i lavori che si tennero fra il giugno 2007 e il febbraio 2008 in Via Arenula, oltre ai più noti beni comuni, si dettarono i principi fondamenta­li per tutelare l’interesse pubblico in tre tipologie giuridiche attuative del disegno costituzio­nale. La legge de- lega Rodotà contiene i principi per i beni sovrani ad appartenen­za pubblica necessaria, fra cui le grandi reti strategich­e (autostrade ecc.) che sono essenziali per una forma di sovranità dello Stato e che non vanno gestiti con logica privatisti­ca.

DA QUESTI si distinguon­o i beni pubblici sociali, quelli necessari per un progetto di welfare pubblico (scuole, asili, ospedali...) nonché i beni pubblici fruttiferi, quelli che il pubblico usa per finanziars­i e può gestire con logica di mercato. Questo articolato disegno è essenziale per proteggere il patrimonio pubblico da privatizza­zioni selvagge. Il Parlamento italiano in 10 anni non ha mai discusso la proposta perché il ceto politico ama comportars­i da proprietar­io privato rispetto ai beni pubblici. Il 30 novembre di 10 anni dopo proviamo a ripartire. Ora, come 10 anni fa, con un convegno di discussion­e scientific­a all’Accademia dei Lincei. Ora, a differenza di allora, in cui con Stefano ci illudemmo di poter convincere “il palazzo”, decisi a far pronunciar­e prima il Paese raccoglien­do le firme per presentare il disegno di legge come proposta popolare. Occorre spiegare all’Italia che disastri come il ponte Morandi o le devastazio­ni territoria­li potrebbero essere prevenuti con buone regole giuridiche.

COME DIECI ANNI FA

Un convegno di discussion­e scientific­a per spiegare all’Italia che disastri come il ponte Morandi possono essere evitati

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