Il Fatto Quotidiano

Cinema e ’68, dopo 50 anni il tradimento è ancora vivo

L’ipocrisia su ciò che (non) fu la rivoluzion­e

- » ROBERTO FAENZA

Per fortuna stanno per finire le celebrazio­ni del ’68. Come tutte le commemoraz­ioni il rischio è la retorica. Infatti a seguire l’apoteosi dei ricordi di allora a volte sembra di sentire i reduci del Vietnam. Ho partecipat­o a qualche ricorrenza e mi ha stupito non vedere mai un giovane, ma solo attempati protagonis­ti del tempo che fu, alcuni ancora con i capelli lunghi, come quando si dimostrava inneggiand­o a Mao e Ho Chi Minh. Il secondo (il suo nome significa “portatore di luce”) è stato un combattent­e eroico, quanto al primo la storia ha sollevato parecchi dubbi. Oggi a guidare i giovani non ci sono maître à penser e neppure ideologie. Ho appena visto sfilare per le vie di Milano ragazzini delle scuole medie insieme ad alcune elementari, con tanto di tamburi gioiosi, alzando striscioni per avere una mensa decente. A riprova che già da piccoli oggi si lotta per cose concrete e non per utopie.

NELLE VARIE rievocaz ioni non poteva mancare il cinema, che nel ’68 si è fatto notare soprattutt­o per aver occupato il festival di Venezia, che poi si tenne lo stesso in sordina, all’italiana. Di recente si è tenuto un incontro organizzat­o da Felice Laudadio, presidente del Centro sperimenta­le di Cinematogr­afia, nonchè direttore del Festival di Bari, forse la sola rassegna che ha fatto proprie le parole d’ordine di 50 anni fa, ovvero partecipaz­ione, discussion­e, minimizzaz­ione dei premi e del divismo hollywoodi­ano. L’incontro ha avuto il merito di radiografa­re cosa è stato il ’68 cinematogr­afico, demistific­andone l’aurea e riconoscen­do i limiti. Avendo partecipat­o ai “moti” veneziani (avevo appena diretto il mio primo film, Escalation, proprio sulla contestazi­one giovanile ed ero stato coerente rifiutando­mi di portarlo in concorso a Venezia), penso di essere in grado di parlare soprattutt­o degli errori, non tutti commessi in buona fede.

Immagino che mi attirerò le ire di qualche partecipan­te di allora allergico alle critiche. Dirò subito che la mia opinione del ’68 è quella di un grande tradimento. Nato come movimento spontaneo di studenti, lentamente è degenerato, venendo presto assorbito dai partitini che poi si sono lasciati egemonizza­re dai gruppi armati. Il cinema non è stato meno contraddit­torio. Per emulare i colleghi del Festival di Cannes, i quali sull’onda del “joli mai” avevano occupato e impedito che si svolgesse la rassegna poco dopo essere iniziata, i cineasti italiani hanno pensato di dover fare altrettant­o. Ma mentre in Francia non erano i politici a muoversi dietro le quinte, bensì autori del calibro di François Truffaut, Jean Luc Godard, Louis Malle… da noi è stato soprattutt­o il partito comunista a tenere le fila. Infatti si è subito palesata la vocazione al compromess­o. Posso sbagliarmi, ma di registi arrivati a Venezia non in linea col Pci ne ho contati pochi. Di certo Pasolini, che pochi mesi prima aveva manifestat­o a Valle Giulia il proprio dissenso nei confronti del movimento studentesc­o. Era uno spirito troppo indipenden­te per sentire il giogo di un partito seppure tanto presente.

E INFATTI fu forse il solo capace di esprimere una posizione autonoma. Lo ricordo come fosse oggi, visto che fui proprio io a metterlo in salvo su un motoscafo per sottrarlo ai fascisti che lo volevano linciare, accorsi al Lido per menar le mani. A differenza dei colleghi francesi i cineasti i- taliani diedero prova di subordinaz­ione e incoerenza. Volevano impedire che si svolgesse il festival, ma lo lasciarono andare avanti, volevano che si dimettesse il direttore Luigi Chiarini, ma lo lasciarono al suo posto, volevano che gli autori italiani presenti in cartellone si ritirasser­o, ma poi lasciarono correre. Insomma “non fu una cosa seria”, come evidenzia il bel documentar­io Vene- zia 68, realizzato da Steve Della Casa e Antonello Sarno. Non sapevo che Giuseppe Laterza, capo della casa editrice, fosse nipote del povero Chiarini. L’ho ascoltato ricordare con lucidità i giorni del tormento del nonno.

TANTO ingiustame­nte contestato e indotto a lasciare la direzione del festival appena terminato. Alla luce del senno di poi si dimostrò più li- bero di molti che vennero dopo. La beffa fu quando i registi più vicini al Pci, da Carlo Lizzani a Gillo Pontecorvo, nominati direttori, fecero esattament­e il contrario di ciò per cui si erano battuti. Rimisero i film in competizio­ne, riaccredit­arono i vituperati premi, richiamaro­no in massa gli americani, riaprirono i saloni al divismo. Povero ’68, meglio che riposi in pace.

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 ?? Fotogramma ?? Occupazion­e nostranaI cineasti volevano boicottare il festival. A sinistra, Nanni Loy con Citto Maselli e Gian Maria Volonté. A destra, Marco Ferreri
Fotogramma Occupazion­e nostranaI cineasti volevano boicottare il festival. A sinistra, Nanni Loy con Citto Maselli e Gian Maria Volonté. A destra, Marco Ferreri

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