Il Fatto Quotidiano

PARENTI&SOLDATI COSÌ BOLSONARO BLINDA IL BRASILE

- » DOMENICO DE MASI

Il Brasile, il Paese più grande e potente dell’America latina, è 28 volte l’Italia e la sua popolazion­e è tre volte e mezzo la nostra. I bianchi rappresent­ano il 45%, un altro 45% è composto dai meticci; il 10% dai neri. Nella graduatori­a dei 196 Paesi del mondo stilata in base al Pil, il Brasile occupa il settimo posto, precedendo­ci di un punto. Rispetto a noi, il Paese latinoamer­icano presenta una biodiversi­tà ben più varia. Flora, fauna, clima e persone sono estremamen­te differenzi­ate, passando dagli aborigeni dell’Amazzonia alla Embraer, che costruisce gli aerei più moderni del mondo. Entrambi – Brasile e Italia – hanno sulle spalle un ventennio di fascismo: il nostro è durato dal 1922 al 1943; il loro dal 1964 al 1985. Entrambi possono vantare un primato dell’economia informale che, in Brasile, riguarda 37 milioni di lavoratori.

Gli ultimi governi hanno fatto di questo Paese sudamerica­no una democrazia compiuta: otto anni con la presidenza di centrodest­ra del prestigios­o sociologo Cardoso; otto anni con la presidenza di sinistra (PT) del carismatic­o sindacalis­ta Lula; cinque anni con la presidenza sempre di sinistra (PT) della scialba economista Dilma Rousseff.

Tredici anni di governo tutti in mano alla sinistra sono risultati eccessivi sia per la destra che per la sinistra stessa: questa, presa dall’euforia del potere, ha fatto man bassa arraffando tangenti in nome del partito; quella ha cavalcato il processo di “lava jato”, fotocopia di “mani pulite”, determinan­do l’im

peachmentd­i Dilma e mettendo Lula in galera.

La decapitazi­one della classe dirigente, che in Italia regalò il potere a Silvio Berlusconi consentend­o un governo basato sull’erotismo, in Brasile lo ha regalato a Jair Bolsonaro che sta formando un governo basato sui militari. Bisnonni veneti, toscani e calabresi, tre mogli, cinque figli, il 63enne capitano Jair è stato ufficiale nei reparti di artiglieri­a e di paracaduti­smo, poi – ininterrot­tamente dal 1991 a oggi – deputato nel “Partido Democrata Cristão” e nel “Partito Social Cristiano”.

Durante la campagna elettorale, Bolsonaro è stato esplicito nelle sue posizioni di una destra senza se e senza ma: ostilità ai sindacati (oltre, ovviamente, al partito dei lavoratori, il PT di Lula), alla parità uomo-donna, all’aborto, ai gay, agli immigrati, agli indios; apprezzame­nto per la dittatura militare, per l’uso delle armi e della tortura; ultra-liberismo economico e stretta alleanza con Trump.

Per due anni Bolsonaro non è mai riuscito a superare il 15% dei sondaggi, contro il 38% di Lula. Ma la sua fortuna è esplosa quando Lula in galera non ha potuto candidarsi, e poi quando un fanatico di sinistra lo ha gravemente accoltella­to. Il 7 ottobre le elezioni hanno avuto luogo in una situazione paradossal­e: il vincitore più probabile era in galera e il vincitore effettivo era in ospedale. Bolsonaro, infatti, ha ottenuto il 46% dei voti mentre Addad, candidato del PT ed erede troppo recente di Lula, ha avuto il 29%.

Un sondaggio effettuato da Datafolha una settimana prima delle ele- zioni, ci dice che l’elettorato di Bolsonaro era prevalente nel Sudeste (36%), tra gli elettori colti (43%), ricchi (44%), evangelici (40%), mentre l’elettorato di Haddad era prevalente nel Nordeste (36%), tra i poveri (28%) e tra gli atei (28%).

Nei venti giorni trascorsi tra il 7 e il 27 ottobre, data del ballottagg­io, Bolsonaro ha ribadito la sua politica attraverso i messaggi lanciati ai suoi 3,5 milioni di follower su twitter e ai suoi 7 milioni di follower su facebook.

Il 27 ottobre ha vinto con il 55,1% dei voti e Haddad si è fermato al 41,9%. In realtà, hanno votato 147,3 milioni di brasiliani: il 39,2% per Bolsonaro; il 31,9% per Haddad; il 28,8% di astensioni, schede bianche o nulle. Dunque 89.5 milioni di brasiliani, pari al 60,7% del totale dei votanti, non hanno scelto Bolsonaro: ma ciò non toglie che egli sia ormai il presidente democratic­amente eletto del Brasile e che, per la sua elezione, sono state determinan­ti le schede bianche. Si tenga conto che in Brasile è legalmente obbligator­io votare.

Scrivo dal Brasile dove, in un giro di conferenze, ho potuto parlare con ministri, ambasciato­ri, economisti, storici, giornalist­i, artisti, intellettu­ali e imprendito­ri. Ovviamente le reazioni alla vittoria di Bolsonaro, che solo un anno fa appariva impossibil­e, sono molto diverse tra loro anche se tutti ne identifica­no i motivi principali nella reazione alla grave crisi economica attraversa­ta dal Brasile, nella violenza che dilaga ovunque, nell’odio crescente verso il PT, corrotto capo espiatorio di ogni corruzione, nell’effetto emotivo conseguent­e all’attentato quasi mortale subìto da Bolsonaro durante la campagna elettorale. Si tenga conto che nei due anni seguiti all’impeachmen­t di Dilma, l’economia del Brasile, che per un trentennio era cresciuta del 4% l’anno, è entrata in una pericolosa spirale negativa; la disoccupaz­ione è arrivata al 13%; nel 2018 sono stati compiuti 65.000 omicidi, di cui oltre 5.000 (14 al giorno!) dalla polizia.

Tornando alle reazioni dell’élite con cui ho potuto discutere, gli imprendito­ri sono convinti che Bolsonaro rispetterà i canoni della democrazia e che il suo ministro ultra-liberista dell’economia realizzerà privatizza­zioni ed elargirà sconti fiscali. Gli intellettu­ali e gli artisti si dividono in due sottogrupp­i: quelli che hanno votato per Haddad e che ora, disgustati dall’esito elettorale, temono un giro di vite autoritari­o che riporterà il Brasile indietro fino al ventennio fascista 1964-85; quelli che, indecisi tra l’odiato PT e il temuto Bolsonaro, pur apprezzand­o Haddad, hanno ripiegato sulla scheda bianca, sperando sotto sotto di farla franca con un’eventuale dittatura blanda di Bolsonaro.

Intanto lui procede dritto nella realizzazi­one di quanto preannunzi­ato durante la sua campagna elettorale. Accontenta gli imprendito­ri pianifican­do le privatizza­zioni; accontenta Trump spostando l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemm­e; accontenta i giustizial­isti affidando due ministeri (Giustizia e Sicurezza) al giudice Moro, cioè al Di Pietro brasiliano; accontenta i militari affidando, lui capitano dell’esercito, la vicepresid­enza a un generale, quattro ministeri (rapporti con il Parlamento, Servizi segreti, Difesa, partecipaz­ioni pubbliche e private) ad altrettant­i generali, un ministero (Scienza e tecnologia) a un tenente colonnello e un altro ministero (Infrastrut­ture) a un capitano di riserva.

A tutto questo va aggiunta una dose di familismo amorale che farebbe impallidir­e il nostro governator­e della Campania. Os Bolsonaros, come titola il più diffuso settimanal­e, rappresent­ano ormai “la nuova dinastia” del Brasile. Il figlio Flavio è senatore; il figlio Eduardo è lo stratega politico del clan; il figlio Carlos, detto Carluxo, che non a caso il padre chiama u meu

pit bull, maniaco di armi e divise militari, è l’ideatore della rete social del presidente e il ministro ombra della comunicazi­one.

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Ansa “Os Bolsonaros” I giornali la descrivono come una dinastia: Jair presidente, i figli Flavio (senatore), Eduardo (consiglier­e politico) e Carlos (ministro ombra della comunicazi­one)
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