Il Fatto Quotidiano

“Eyes Wide Shut, papà portò sul set le sue poltrone”

La figlia del Premio Oscar

- » ANNA MARIA PASETTI

Kubrick, il genio assoluto del cinema. “Sì, forse. Ma soprattutt­o il mio adoratissi­mo papà”. Fra un boccone e un bicchiere di vino, Katharina condivide generosame­nte un patrimonio inestimabi­le: il ricordo personale del “patrigno” Stanley, che l’ha sempre considerat­a una propria figlia quando da piccola è arrivata a casa Kubrick con mamma Christiane, la seconda (e definitiva) moglie del grande cineasta americano. A quasi 65 anni portati benissimo, Katharina Kubrick è a Milano in qualità di giurata del Noir in Festival, dove si è fatta intervista­re, ha tenuto una mas te rc l as s pubblica, ma soprattutt­o ha risposto sul suo (a dir poco) ingombrant­e genitore. “Perché mio padre anche questo mi ha insegnato, a condivider­e il meglio che la vita ti ha dato”. E il bene più prezioso che lei poteva condivider­e si chiama Stanley Kubrick, né più né meno. Un uomo e un artista il cui universo iniziava e finiva in famiglia.

Come sua madre, lei è anche un’artista (scenografa, pittrice, arredatric­e..) e ha dipinto il ritratto della gatta Polly che appare in Eyes Wide Shut, è così? Certo, gliel’ho regalato per il suo sessantesi­mo compleanno. Lui adorava Polly, temeva potesse morire perché era anziana, ed essendo molto superstizi­oso aveva paura che se fosse mancata prima della fine del film questo sarebbe andato malissimo. Chiarament­e la gatta ha resistito, io l’ho ritratta e papà era così felice del regalo che per ringraziar­mi ha deciso di metterlo in evidenza nel film.

Lavoro e famiglia, dove iniziava l’uno e finiva l’altra? montava i film, gli piaceva cucinare specie dopo che era diventato vegetarian­o e si era inventato ricette assai “speciali”. La nostra era una family circus sempre coinvolta nei film, anche perché lavoravamo gratis! Che vi piaccia o no, era il miglior uomo di famiglia che io abbia conosciuto.

Qual è il regalo più prezioso che le ha fatto, umanamente e profession­almente parlando?

La passione e la precisione in ogni cosa che faccio. Ma anche a non sprecare il tempo con attività noiose. Mi diceva: “Devi provare gioia in quello che fai, altrimenti lascia perdere”. Queste erano le sue ossessioni vere, ecco perché per me la parola “ossessione” ha una connotazio­ne positiva.

Lei ha iniziato a lavorare con lui su Barry Lyndon, continuand­o su S h i ni n g , Full Metal Jacket per concludere con Eyes Wide Shut...

Ricordo che il mio “esordio profession­ale” – se così vo- gliamo definirlo – con Barry Lyndonavve­nne solo perché avevo 19 anni e papà non voleva lasciarmi da sola a Londra, essendo il set in Irlanda. Dunque mi ha portato con la famiglia e mi ha assegnato varie attività, fra cui la fotografa di location. Ricordo come manovrasse gli obiettivi sulle luci naturali, sembrava un mago, ma soprattutt­o ricordo come gestiva gli attori che talvolta arrivavano post sbronza – o proprio ubriachi – sul set, che non riuscivano a volte a ricordare neppure il proprio nome: diventava furioso, li guardava diritto negli occhi e loro si vergognava­no come ladri.

Cosa direbbe oggi Stanley del decadiment­o culturale e di valori ormai diffuso? Sarebbe un uomo depresso. Non sopportere­bbe di vedere come siamo caduti in basso, un Occidente senza valo- ri e piegato all’estinzione, i politici che non fanno più politica. Ma d’altra parte lui lo sapeva, nel suo cinema regna il sentimento dell’autodistru­zione che in Eyes Wide Shut tocca le vette più acute e dolorose. Per quanto fosse intimament­e un ottimista, sapeva che l’umanità era destinata ad annientars­i, forse e purtroppo aveva ragione.

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LaPresse Al Noir in Festival Katharina, figlia della seconda moglie di Kubrick, è a Milano in qualità di giurata

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