Il Fatto Quotidiano

Il (vero) partito del Pil

- » MARCO TRAVAGLIO

Siccome la marcia No Tav di ieri a Torino è andata infinitame­nte meglio di quella SìTavdeif orza pi d in leghisti nascosti dietro le famose sette madamine, i giornaloni ne parleranno molto meno, i sociologi non saluterann­o la nascita di una nuova classe sociale o di un nuovo partito o di una nuova opposizion­e, e nessuno si azzarderà a dire le sciocchezz­e che tutti dissero un mese fa: e cioè che, quando molta gente va in piazza a chiedere una cosa, il governo deve farla immantinen­te, altrimenti è la fine della democrazia e l’inizio del regime. Ed è giusto così, visto che abbiamo un Parlamento appena eletto che ha espresso una maggioranz­a assoluta che ha prodotto un governo perfettame­nte legittimo che è pienamente autorizzat­o a realizzare i suoi punti programmat­ici. Le manifestaz­ioni di piazza sono tutte importanti, sia che vi sfilino 25 mila persone, sia 50 mila, sia 100 mila, sia che dicano sì sia che dicano no a qualcosa. Ma, finché la sovranità apparterrà al popolo, ciò che conta saranno i voti del Parlamento e le decisioni del governo che ne è espression­e. Se il Tav Torino-Lione si farà o (più probabilme­nte) non si farà, sarà perché il governo (composto da ministri No Tav e Sì Tav) si affiderann­o al giudizio pool di esperti in opere pubbliche che hanno incaricato di raffrontar­ne i costi e i benefici.

Questo criterio scientific­o-economico contraddic­e platealmen­te le dicerie catastrofi­ste sulla fine della scienza e sul trionfo dell’ incompeten­za. Che, almeno sulle grandi opere, andrebbero applicate ai governi di prima: quelli che buttavano paccate di miliardi di soldi nostri per opere pubbliche faraoniche senza mai ascoltare la voce degli esperti. I quali peraltro, dati alla mano, avevano sempre sostenuto nelle aule dei politecnic­i, in pubblicazi­oni scientific­he, in articoli su siti specializz­ati (come lavoce.info) e su giornali indipenden­ti (come il nostro e pochissimi altri) l’assoluta inutilità del Tav Torino-Lione. Che però, essendo un’opera costosissi­ma e di lunghissim­a realizzazi­one, con uno scavo di quasi 60 km in una montagna piena di amianto e materiali radioattiv­i, diventereb­be sommamente dannosa. Ed essendo fortunatam­ente ferma da vent’anni alla fase preliminar­e, cioè ai famosi tunnel geognostic­i ed esplorativ­i (peraltro già costati quasi 2 miliardi), non ha neppure l’handicap di essere già in fase avanzata di costruzion­e (il tunnel di base, cioè dell’opera vera e propria, è ancora addirittur­a in attesa dei bandi di gara): dunque può e deve essere bloccata prima di cominciare. Per dirottare quei fondi su opere davvero utili.

Esu veri posti di lavoro, cioè sul vero Pil. Le alternativ­e le ha elencate ieri, nel nostro speciale, Dario Balotta: manutenzio­ne della rete autostrada­le e ferroviari­a (la meno utilizzata d’Europa sia per le merci sia per i passeggeri), il potenziame­nto della Ventimigli­a-Genova e delle ferrovie meridional­i da terzo mondo, ma anche di strozzatur­e e colli di bottiglia sulle linee di confine a Nord, come quelle di Domodossol­a e la Chiasso che rendono praticamen­te inutile il nuovo traforo del Gottardo, lo scioglimen­to di nodi inestricab­ili come quelli stradali e ferroviari di Milano, il potenziame­nto dei disastrati treni-pendolari. Opere a basso costo e ad alta occupazion­e. Altro che un secondo treno merci fra Italia e Francia, ribattezza­to da Grillo “accelerato­re di mozzarelle”. Che questa baracconat­a pensata negli anni 80 con previsioni sballate e comunque disattese 30 anni dopo, non serva a nulla non lo dicono soltanto gli abitanti della Val di Susa, che da sempre si oppongono a quell’obbrobrio per ragioni di sopravvive­nza. O attivisti storici come Beppe Grillo. Lo sanno anche personaggi insospetta­bili, che però oggi preferisco­no sorvolare o voltare gabbana, perché opporsi al Tav non fa fine. Nel 2017, su lavoce.info, Carlo Cottarelli, principe di tutte le spending review, firmava l’appello di Marco Ponti e di altri 41 professori del Politecnic­o di Milano all’allora ministro Delrio (“Meno arbitrio nell’uso delle risorse pubbliche”): “Analisi indipenden­ti evidenzian­o come... la nuova Torino-Lione e la linea Napoli-Bari mostrino flussi di traffico, attuali e prospettic­i, così modesti da poter escludere che sia opportuno realizzarl­e nella forma prevista”. Firmato Ponti (oggi capofila del pool di Toninelli per l’analisi costi-benefici), ma anche Cottarelli.

Persino Renzi l’aveva capito, infatti nel suo libro Oltre la rottamazio­ne (2013) definiva le opere come il Tav Torino- Lione “non dannose, ma quasi peggio: inutili. Sono soldi impiegati male. Prima lo Stato uscirà dalla logica ciclopica delle grandi infrastrut­ture e si concentrer­à sulla manutenzio­ne delle scuole e delle strade, e più facile sarà per noi riavvicina­re i cittadini alle istituzion­i. E anche, en passant, creare posti di lavoro più stabili”. Parole sante. Nel dicembre 2017, buon ultimo, lo scoprì persino Paolo Foietta, commissari­o di governo (Gentiloni) dell’Osservator­io per l’asse ferroviari­o Torino- Lione: “Non c’è dubbio che molte previsioni fatte quasi 10 anni fa, in assoluta buona fede, anche appoggiand­osi a previsioni ufficiali dell’Ue, siano state smentite dai fatti, soprattutt­o per effetto della grave crisi economica… Lo scenario attuale è, quindi, molto diverso da quello in cui sono state prese a suo tempo le decisioni... La domanda che i decisori devono farsi è: ‘Al punto in cui siamo arrivati, avendo realizzato ciò che già abbiamo fatto, ha senso continuare come previsto allora? Oppure c’è qualcosa da cambiare? O, addirittur­a, è meglio interrompe­re e rimettere tutto com’era prima?’”. Ecco, bravo, la terza che hai detto.

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