Il Censis, Gramsci e la media cultura italiana dei media
Giuseppe De Rita, a capo dell’azienda familiare detta Censis, fa un lavoro che invidiamo molto. In sostanza ogni anno deve, spenglerianamente, ridurre l’Italia a un aggettivo o due, più qualche formuletta di rito per introdurre un lungo rapporto spannometrico che innervi pensosi titoli di giornale e non meno comprese chiacchiere tv. Com’è stata l’Italia negli ultimi 10 anni? Facile col bignamino del Censis: nel 2009, per dire, era “in apnea”; nel 2010 “appiattita” e non riusciva a ripartire; nel 2011 “fragile, iso- lata ed etero diretta”; l’anno dopo “sopravvive”, ma è un po’ incazzata. E nel 2013? Com’era l’Italia nel 2013? Pronti: “Sciapa e infelice”. Nel 2014? “Impaurita”, “sfiduciata”, “corrosa”, dedita a una cosa detta “attendismo cinico”. Nel 2015 il Paese era “in letargo esistenziale collettivo”, ma certi gruppi erano ripartiti. Nel 2016 gli italiani, “ricchi ma sfiduciati”, s’erano buttati nella “seconda era del sommerso”. Nel 2017 l’Italia era “rancorosa” e oggi “incattivita” e in preda a “sovranismo psichico” come abbiamo letto a giornali unificati ( seguiranno i talk). Ora, c’è un passaggio in cui Gramsci parla delle “cattive tradizioni della media cultura italiana”: “L’improvvisazione, il ‘talentismo’, la pigrizia fatalistica, il dilettantismo scervellato, la mancanza di disciplina intellettuale” etc. Questo per dire che non può stupire – anche se questa conclusione potrebbe essere frutto di “attendismo cinico e psicosovranismo come se fosse antani” - che i difetti della “media cultura” siano quelli della “cultura dei media”: la media quella è.