Quelle avvocatesse sul calendario riservato alle belle
Il calendario dello scandalo A Napoli, nel 1880 si radiava la prima donna ammessa all’Albo Con l’iniziativa benefica, oggi, si torna a discutere di “sgallettate” e “uso improprio della toga”
Da qualche giorno, a Napoli tiene banco su social e giornali una polemica attorno all’operazione, coordinata dall’avvocato del foro partenopeo Sergio Pisani, che vede alcune avvocatesse fotografate per un calendario di beneficenza. Un’iniziativa per raccogliere fondi per Save the Children che dovrebbe sensibilizzare sul tema “violenza sulle donne”. Il primo mese – gennaio – è dedicato all’art. 24 della Costituzione, quello del diritto inviolabile di difendersi in giudizio; gli altri undici, ad altrettanti articoli del codice penale con particolare riguardo alle varie forme di violenza che riguardano le donne (obblighi di assistenza familiare, stalking, violenza sessuale). Le prime foto circolate in rete, però, tratte dal backstage del fotografo Giancarlo Rizzo, hanno suscitato qualche critica, dapprima su Facebook, poi sui giornali locali.
“Sgallettate che non sanno cosa significhi indossare la toga: senza dignità e senza cervello”. C’è chi parla di “prostituzione forense”, chi invoca provvedimenti dell’Ordine, chi sottolinea le “avvocatesse trasformate in modelle” (che critica sarebbe però? Anche gli uomini fanno i calendari, dai pompieri australiani che si fanno fotografare a torso nudo con i cuccioli in braccio, ai calciatori del Vicenza in posa per aiutare i boschi dell’altopiano colpiti dalla catastrofe maltempo di novembre, al gruppo di amici inglesi che per raccogliere fondi contro il tumore si fa ritrarre in mutande). “Forse pensano al calendario Pirelli,” dice Pisani, che presenta l’iniziativa del calendario “Donna inDifesa” ricordando “scherzosamente”, sul suo profilo Facebook, che “noi avvocati belli il brutto non riusciamo proprio a capirlo. W la bellezza in tutte le sue manifestazioni, anche quella interiore”. “Qui però non ci sono pose sexy o ammiccanti”, ci tiene subito a precisare il giovane avvocato. In effetti tutte le avvocatesse sono vestitissime, in toga. E proprio l’uso della toga sarebbe, per qualcuno, lo scandalo (il penalista Gaetano Perna si è detto sconcertato perché “la toga è sacra”).
Insomma, l’impressione è che come ci si muova, se ci sono di mezzo donne, si sbagli. Nude non va bene, vestite con la toga neanche. Ma vediamole queste foto. Un’avvocatessa ferma il braccio di un uomo che offre caramelle a un bambino; un’altra, incinta, mostra un assegno; una abbraccia una signora nera sua coetanea come fossero due amiche. Un po’ didascaliche, certo. E c’è chi nota che al centro degli scatti ci siano solo giovani professioniste, per di più di aspetto piacevole (ma la violenza sulle donne non guarda in faccia).
Le foto che, personalmente, mi lasciano un po’ perplessa, sono quelle che riguardano gli specifici articoli sulla violenza. Perché qui le avvocatesse sono
Contro la violenza sulle
donne : questa l’idea del collega Sergio Pisani, ma le protagoniste degli scatti sono diventate vittime, “attaccate perché giovani e carine”
ritratte con i capelli scarmigliati e gli occhi pesti, un cappio al collo, ammanettate, buttate a terra, corrucciate mentre l’ombra di un uomo incombe inquietante. E siccome da anni si riflette sui modi per parlare pubblicamente di questi argomenti, sia per quello che riguarda il linguaggio usato dai giornali, sia sulle campagne di comunicazione sociale riguardo la violenza di genere, spiace constatare che ancora una volta si replichino modi ormai superati e riconosciuti come poco efficaci. La donna vittimizzata, ritratta nel momento dell’umiliazione, debole, impaurita, con i lividi, a occhi bassi, impotente, nella comunicazione ha fatto il suo tempo. Ora, in tutto il mondo, si punta sulla prevenzione, sul riconoscimento dei diritti, sulla necessità della lotta.
Queste foto, poi, ingenerano un po’di confusione: è una comunicazione che riguarda i maltrattamenti contro le donne, o i maltrattamenti contro le avvocatesse? Perché a vederle ritratte così, il dubbio viene. E allora, va bene il tema forte e che se ne parli (e se ne sta parlando, anche se solo tra maschi), ma sorge anche la domanda: esiste un problema “avvocatesse” a Napoli? E sembra assurdo che un calendario dedicato a Lidia Poët, prima donna ammessa all’Ordine degli avvocati – poi radiata perché nel 1883 era ritenuto sconveniente che una donna portasse la toga, quindi finalmente riammessa dopo lunga battaglia – possa nel 2019 far insorgere per “uso improprio della toga”. Per i magistrati di allora, sussisteva il rischio che “si vedessero talvolta la toga o il tocco dell’avvocato sovrapposti ad abbigliamenti strani e bizzarri, che non di rado la moda impone alle donne, e ad acconciature non meno bizzarre”. È passato più di un secolo, e questo calendario, che come si legge nella presentazione, vuole “impugnare simbolicamente quella decisione mettendo in risalto la figura della donna avvocato, non più soggetta alle stupide discriminazioni di un tempo ed oggi sempre più protagonista delle più nobili delle professioni” sta riportando il dibattito su professioniste sotto attacco per la loro bellezza. Roberta Maiello, 30 anni, che sul calendario posa per gennaio, ha spiegato al Corriere del Mezzogiorno: “Non mi aspettavo la cattiveria di alcuni commenti. Tra noi ci sono anche parecchie mamme e per i loro figli non è stato bello vedere certe frasi sgradevoli. Noi che volevamo denunciare la violenza, ci siamo trovate a essere vittime di una violenza verbale francamente inaccettabile. Nessuno di noi ha velleità artistiche. È solo un’iniziativa benefica. Punto e basta”.
Tralasciando i commenti più sessisti pure comparsi sui social e considerandoli beceri cascami, ahimè, “fisiologici” – critiche su una spalla scoperta durante il backstage, critiche su “fanciulle” inconsapevoli manovrate da un collega – viene da chiedersi cosa potrebbe dare fastidio in un’iniziativa del genere.
Ma cosa c’è dietro lo scontro sul calendario e gli attacchi alle avvocatesse? Purché se ne parli...
Per Nicola Quatrano, magistrato in pensione oggi avvocato, il calendario è di cattivo gusto in quanto si rischia di “abusare degli abusati”: dietro alla dichiarazione dell’avvocato Gaetano Perna sull’uso delle toghe, non vede misoginia, come apparirebbe a una prima lettura, ma il dubbio che un’operazione del genere possa servire a fare pubblicità ad alcuni professionisti e sia invece molto poco incisiva per le vittime. La violenza di genere esiste, ormai il problema è noto, adesso bisognerebbe puntare sui mezzi per prevenirla, insomma. Quanto alla situazione delle avvocatesse a Napoli, Quatrano nota che il mondo dell’avvocatura, al contrario di quello della magistratura, è ancora molto “maschilizzato”. “L’utenza, dovendo scegliere, preferisce ricorrere agli avvocati uomini, per una diffidenza assolutamente ingiustificata.” Per la dottoressa Elena Coccia, storica penalista esperta in diritto di famiglia, un certo sciovinismo presente anni fa, ormai è del tutto scomparso e le avvocate lavorano esattamente come i loro colleghi, magari dedicandosi più a certi temi piuttosto che ad altri, ma in sostanziale parità di condizioni. “Il problema semmai riguarda i giovani, donne e uomini. E riguarda l’impoverimento generale. Si fa fatica a farsi pagare, si lavora a piccole cause, da parte dell’Ordine e della Cassa degli Avvocati non è stato previsto nessun tipo di sostegno in questi anni di crisi. Le donne, come al solito, faticano di più. In questo senso, come nella società in generale, le giovani avvocatesse sono più penalizzate: quando si tratta di fare figli, o fronteggiare malattie, sono ancora loro a pagare di più.”
Quanto alle polemiche legate al calendario, dice: “Ben vengano tutte le azioni a sostegno di un tema così importante, da qualsiasi parte arrivino. Però non devono restare limitate a una sola occasione: bisogna lavorare al rispetto dei diritti delle donne globalmente, su tutti i fronti.”
Non solo con iniziative estemporanee, insomma, o che rischiano di rimanere a un livello superficiale, di mera comunicazione di principi generali su cui in fondo si è tutti d’accordo. Si fa presto a mettere un “no alla violenza contro le donne” qua e là (magari nel proprio profilo Facebook), una foto di scarpe rosse, il “muro dell’indifferenza” di certe trasmissioni televisive, il segno rosso sul viso il 25 novembre, la foto di una donna con una lacrima, una rosa stropicciata: a tutto ciò va accompagnata una continua azione di vigilanza e di contrasto.
Anche perché nuovi attacchi ai diritti delle donne incombono e Napoli, come Milano, Roma, Genova, Venezia, Bologna e tantissime altre città d’Italia, è scesa in piazza per contrastare il decreto Pillon. Per le donne che da anni si battono contro la violenza, il decreto, con la sua idea astratta e superata di famiglia, è un attacco alla libertà e ai diritti civili di donne e bambini: costituisce un percorso a ostacoli per le coppie che hanno la necessità di separarsi, penalizza i figli non ascoltando il loro parere e i loro sentimenti, li obbliga a passare del tempo con il genitore con cui non vogliono stare, impedisce il recupero dei crediti maturati per il mantenimento, obbliga le donne a rimanere in uno stato di pericolo nella stessa casa dell’aggressore maltrattante, mette le donne in condizioni di essere ricattate, minacciate di ritorsioni sull’affidamento dei figli, impedisce l’emersione della violenza.
È incredibile che nel 2019 si debba perdere tempo con un decreto così punitivo e fuori dal mondo, che andrebbe ad aggiungere una violenza istituzionale a quella terribile che già ogni giorno riempie le cronache.
*Scrittrice e traduttrice