Il Fatto Quotidiano

Quando noi italiani del Sud eravamo i “clandestin­i”

- » ENRICO FIERRO

Caro Coen, tu alla Scala (sul luogo del delitto), io nella “tua” Francia. Precisamen­te a Tolosa, a dividere strade e monumenti del centro con i lunghi cortei degli “indecifrab­ili” (moderna rivoluzion­e oric or rente jacquerie ?) gilet gialli, per poi spostarmi a Castelnaud­ary. Cuore dell’Occitania e patria indiscussa del cassoulet. Dodicimila abitanti, migliaia di ettari coltivati da moderne aziende agricole, il suo circondari­o fu scelto da buona parte degli emigranti italiani soprattutt­o dopo la fine della Grande guerra. Servivano braccia per l’agricoltur­a e noi arrivammo in massa. Affamati di lavoro e pane. Una storia che qui si ostinano a non dimenticar­e. Sono alla Hall aux grain, tutti i posti occupati per assistere allo spettacolo It aliens quand les emigres c’etait nous del gruppo “Incanto”. In sala i figli dei figli dei figli degli emigranti italiani. Una parte di quei 5 milioni di italo francesi che non hanno mai dimenticat­o le loro radici.

LO SPETTACOLO nasce dal talento di Rocco Femia, giornalist­a, autore e infaticabi­le animatore culturale, emigrato una ventina di anni fa dalla Calabria. Sul palco un’orchestra di eccezional­i musicisti, un coro di trenta persone, un maxi-schermo che lascia scorrere le immagini dei viaggi della speranza e Rocco che fa da voce narrante. Racconta di quando eravamo noi i “clandestin­i”, e non vola una mosca. Tanti occhi devono essere asciugati dalle lacrime di commozione quando l’orchestra e i cantanti intonano i canti della nostalgia. Eravamo così, come quelli che oggi respingiam­o. I neri e gli zingari, gli ultimi cantati da De André, Dalla, Pippo Pollina. È un pubblico di persone mature che, però, si alza in piedi per applaudire quando sullo schermo appare la bella foto dell’abbraccio tra Mimmo Lucano e Aboubakar Soumahoro. Bella serata. Poi torni in Italia e la tv trasmette le immagini di un tizio che arringa la folla con parole d’odio e con una felpa della Polizia addosso. Che tristezza.

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