Quando noi italiani del Sud eravamo i “clandestini”
Caro Coen, tu alla Scala (sul luogo del delitto), io nella “tua” Francia. Precisamente a Tolosa, a dividere strade e monumenti del centro con i lunghi cortei degli “indecifrabili” (moderna rivoluzione oric or rente jacquerie ?) gilet gialli, per poi spostarmi a Castelnaudary. Cuore dell’Occitania e patria indiscussa del cassoulet. Dodicimila abitanti, migliaia di ettari coltivati da moderne aziende agricole, il suo circondario fu scelto da buona parte degli emigranti italiani soprattutto dopo la fine della Grande guerra. Servivano braccia per l’agricoltura e noi arrivammo in massa. Affamati di lavoro e pane. Una storia che qui si ostinano a non dimenticare. Sono alla Hall aux grain, tutti i posti occupati per assistere allo spettacolo It aliens quand les emigres c’etait nous del gruppo “Incanto”. In sala i figli dei figli dei figli degli emigranti italiani. Una parte di quei 5 milioni di italo francesi che non hanno mai dimenticato le loro radici.
LO SPETTACOLO nasce dal talento di Rocco Femia, giornalista, autore e infaticabile animatore culturale, emigrato una ventina di anni fa dalla Calabria. Sul palco un’orchestra di eccezionali musicisti, un coro di trenta persone, un maxi-schermo che lascia scorrere le immagini dei viaggi della speranza e Rocco che fa da voce narrante. Racconta di quando eravamo noi i “clandestini”, e non vola una mosca. Tanti occhi devono essere asciugati dalle lacrime di commozione quando l’orchestra e i cantanti intonano i canti della nostalgia. Eravamo così, come quelli che oggi respingiamo. I neri e gli zingari, gli ultimi cantati da De André, Dalla, Pippo Pollina. È un pubblico di persone mature che, però, si alza in piedi per applaudire quando sullo schermo appare la bella foto dell’abbraccio tra Mimmo Lucano e Aboubakar Soumahoro. Bella serata. Poi torni in Italia e la tv trasmette le immagini di un tizio che arringa la folla con parole d’odio e con una felpa della Polizia addosso. Che tristezza.