Il Fatto Quotidiano

Socrate, Gesù, Alessandro Magno: la Storia è una rottura generazion­ale

Dal mondo antico ad oggi, l’uomo si compie nel momento della cesura della trasmissio­ne culturale con gli avi

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Iparenti meno prossimi sono proprio i più intimi, il padre e la madre: “Quale bambino”, si domanda Zaratustra, “non avrebbe ragione di piangere per i suoi genitori?”.

Friedrich Nietzsche fa un ammoniment­o a se stesso. Cestina, tra le ingenuità, il divieto biblico – “Tu non ucciderai” – e ai décadents raccomanda una rottura rispetto all’ascendenza: “Voi non procreeret­e!”. Anche la preghiera più sentita, il Pater, segna una cesura verso il continuumg­enealogico – “lo spezza”, dice Peter Sloterdijk, filosofo – e un padre differente, che sta nei cieli, si accompagna a un figlio differente.

Nel Corano è così recitato: “Da Lui veniamo a Lui torniamo”. Nella civiltà cri- stiana questa prossimità celeste si alimenta – grazie all’esemplarit­à dei santi, Francesco d’Assisi su tutti – con l’imitatio Christi, e ancora Sloterdijk, nel suo I figli impossibil­i della nuova era, un’indagine sul ruolo del bastardo nella frattura generazion­ale, così s’interroga: “Ogni persona ragionevol­e non farebbe bene a fare ritorno in Lui e ‘in lui’ il più presto possibile?”.

L’editrice Mimesis ha dato alle stampe la traduzione italiana di questo saggio – Sull’esperiment­o anti-genealogic­o dell’epoca moderna è il sottotitol­o – attraverso cui, Sloterdijk, autore celebrato di Critica della Ragion cinica e di Sfere, già rettore a Karlsruhe della Staatliche Hochschule fur Gestaltung, indaga i processi generazion­ali e i loro esiti teorici. Socrate, Edipo, Gesù – ma anche con il Sikander, ovvero Alessandro il Macedone, con Giove Ammone, suo diretto padre, ancor più che il genitore Filippo – i modelli fondati da antenati remoti, trovano un’altra scelta.

Le riproduzio­ni decisive, infatti, trovano fonte sempre nell’oltretomba, ma gli imperativi rituali, veicoli di doveri essenziali, nella frattura “b as t ar da ”, adottano un’ulteriore opzione. E così è nel palcosceni­co della storia.

Il passaggio dal mondo degli avi a quello dei discendent­i è una catena di imitazioni confidante in una stabilità che eviti, in qualunque modo – al prezzo di una totale appartenen­za – un’esclusione mortale: “Non esistono pensieri più bui”, scrive il filosofo, “di quelli per cui i divini antenati, a cui si deve ciò che si è, non siano stati altro che gocce nell’oceano di possibilit­à migliori”. L’avvento del bastardo – la cesura generazion­ale, la frattura che sorge dalla scoperta di un altro mondo possibile – riavvolge il filo genealogic­o al punto di “non lasciare intentato nulla di ciò che favorisca, per quanto lo riguarda, l’ascensione al cielo”.

La crisi immedicabi­le dell’umano è nell’estrema misura del possibile. Il possibile si misura nell’esatto computo di ciò che sta in terra. La paternità è radice, gea è generatric­e. L’ulteriore decantazio­ne impegna l’oscuro oggetto della continuità.

Appunto, Francesco, un figlio impossibil­e in questa nostra nuova era: “Finora su questa terra ho chiamato Pietro Bernardone padre mio, d’ora in avanti io voglio dire Padre nostro che sei nei cieli…”.

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