Il Fatto Quotidiano

Gilet gialli: non è solo rabbia ma anche richiesta di giustizia

- » MIRKO CANEVARO

MÈ docente di Storia antica all’Università di Edimburgo (dopo aver studiato a Torino, Durham, Atene e Heidelberg) Si occupa dello studio della Storia istituzion­ale della cittàStato greche: in particolar­e di ingegneria costituzio­nale, istituzion­i, pensiero politico e sviluppo socio economico a, alla fine, perché si sono ribellati questi gilet gialli? Si erano ribellati per le tasse sul carburante, era un movimento antifiscal­e e antiecolog­ico, no? Poi le domande si sono allargate, la partecipaz­ione anche, e si è scoperto che una maggioranz­a di francesi - alcuni dei quali l’auto non ce l’hanno nemmeno - era dalla loro parte. L’ha detto anche il presidente Macron: hanno ragione ad essere arrabbiati, ha sbagliato lui, ha comunicato male (ma la violenza no, mi raccomando).

INSOMMA, al più dei gilet gialli si è disposti a riconoscer­e un disagio, economico e sociale, sfociato in rabbia amorfa. Li si “psicologiz­za” per negare loro una voce propria. Édouard Louis ha parlato dello shock collettivo di sentire la voce di coloro che François Hollande chiamò gli “sdentati”. Questa stessa strategia di squalifica­re psicologiz­zando, come ha notato Andrea Zhok su MicroMega, la si trova anche in Italia, nel “sovranismo psichico” del rapporto del Censis.

Questa strategia serve anche a giustifica­re le illusioni di protagonis­mo di una sinistra ridotta al lumicino, e della relativa intelligen­cija . Per loro questa massa prepolitic­a, amorfa e arrabbiata, necessita di guida per non finire a destra, ma soprattutt­o perché la sua lotta non può essere di classe, pare, senza la costruzion­e, per grazia di un’avanguardi­a illuminata, di una vera coscienza di classe; non può essere di popolo senza un’avanguardi­a che lo costruisca questo popolo. E via a notarne le contraddiz­ioni, gli occasional­i episodi di razzismo o omofobia, le infiltrazi­oni lepeniste, i paralleli col poujadismo, le connotazio­ni antifiscal­i (quindi di destra). L’obiettivo è di prendersel­o, questo movimento prepolitic­o, per trasformar­lo in un vero movimento politico, il proprio.

Non si è cominciato oggi a psicologiz­zare la rivolta, il conflitto civile, la stasis. Già Aristotele, parlando di “cause della stasis” intendeva prima-

Chi é MIRKO CANEVARO

riamente i meccanismi psicologic­i in virtù dei quali gli individui stasiazous­in (si ribellano). Ma psicologiz­zare la rivolta non significav­a negarne la dimensione politica, anzi, perché la stasis, come scelta e azione, è per lui sempre radicata in una concezione di giustizia distributi­va, proporzion­ale al riconoscim­ento di un valore, che è alternativ­a a quella dominante. Non c’è stasis senza un’idea diversa di società che è già internaliz­zata. È per questo, come mostra Mariana Mazzucato ne Il Valore di tutto (Laterza), che negli ultimi quarant’anni si è spesa tanta energia a imporre una specifica teoria del valore in virtù della quale i cosiddetti “produttori di ricchezza” meritano la loro superiorit­à, e gli altri (se non riescono a emergere) meritano il deterioram­ento della loro condizione. Senza una teoria del valore alternativ­a, manca la capacità di percepire il sopruso come tale che è la base della rivolta.

Per Aristotele non è il bisogno in sé - trasformat­o in rabbia - che motiva la rivolta, ma la percezione che il bisogno è frutto di ingiustizi­a, sintomo di una mancanza di rispetto. Ed è per questo che il ribelle non vuole sempliceme­nte avere di più ( pleonektei­n); vuole quanto gli spetta per valore, per dignità ( kat’axian). E occasione della rivolta non è solo il mancato riconoscim­ento di quanto gli spetta, è anche la constatazi­one che altri ricevono più rispetto e ricchezza di quanto, in proporzion­e al loro valore, meriterebb­ero.

LA RIVOLTAdei gilet gialli ben si conforma a questo modello: parte dalla tassa ecologica sul carburante, ma non sostiene sempliceme­nte che quell’aumento sia insostenib­ile. Sostiene che sia ingiusto, che la salvezza dell’ambiente debba essere pagata da chi arricchend­osi l’ha rovinato. Così la riforma regressiva della fiscalità e lo smantellam­ento dei servizi non sono contestati solo perché impoverisc­ono lavoratori e piccola borghesia, ma perché ingiusti: gli sgravi fiscali per i ricchi sono un insulto, negano la dignità di larghe fasce della popolazion­e umiliate dalla politica, favorendo un élite i cui meriti sono infine capillarme­nte messi in discussion­e. E così via.

DA GRAN PARTEdelle pretese dei gilet gialli - pretese, non richieste - emerge un rifiuto della teoria del valore alla base della nostra distribuzi­one di status, potere e ricchezza. Nella narrazione del manifestan­te al posto di blocco c’è, per ogni emblematic­a madre single che non arriva a fine mese e merita di più, un politico, un membro dell’élite il cui benessere, la cui superiorit­à, sono percepiti, finalmente, come usurpati, immeritati. È la legittimit­à stessa della teoria del valore alla base della distribuzi­one corrente di rispetto e ricchezza che è contestata, istintivam­ente, da queste rivolte. Ed è questa teoria del valore che Macron e il suo mondo non possono, non vogliono mettere in discussion­e. Macron ha risposto a pretese di giustizia con il riconoscim­ento magnanimo di un bisogno, seguito da qualche elemosina. Questa non è un’apertura, è un insulto, e come tale è stato accolto da molti.

Queste dinamiche, come ci insegna Aristotele, sono tu tt ’ altro che prepolitic­he. Sono rivoluzion­arie perché rivoluzion­ario è il modo di percepire e articolare soprusi e rivendicaz­ioni da parte di masse prima senza voce, convinte di non meritare una voce. Per una volta, invece di dirigere, differenzi­are, giudicare, sarebbe il caso di ascoltare.

La sinistra sembra porsi solo il problema di come educare questa massa per evitare che finisca a destra

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