Gli animalisti che salvano i cagnolini dalla vita assieme ai padroni clochard
Chi contribuisce a fare dell’esistenza di un essere umano meno di una cosa
Da qualche parte. Da qualche parte s’è vista la scena di un commando animalista che strappa un cagnetto dalle braccia di un senzatetto per salvare il cucciolo da una condizione di degrado. Non avrebbe, infatti, che spartirsi il poco pane col suo padrone. E neppure un tetto: all’addiaccio. In condizioni igieniche terribili.
IL COMMANDO si adopera nell’operazione Bau, avvolge in una coperta termica il cagnolino abbandonando – va da sé – il bipede, al suo destino. I salvatori del quadrupede fanno anche un video per celebrare il blitz – con tanto di proclama – per certificare l’ulteriore vittoria della civiltà con i diritti estesi a tutti gli esseri senzienti (escludendo – il caso è questo – il bipede di cui sopra che comunque, in quanto umano, e per giunta maschio, paga pegno alla dura legge della rivoluzione dei costumi continuando ad abitare il marciapiede). La situazione dell’uomo nella storia è questa. Non si salva il senza tetto, in un caso s’è dovuto ricorrere a una raccolta di firme
per restituire il cucciolo al proprio padrone ma l’umanismo – l’etica come parametro universale – scatta al passaggio ulteriore: far dell’esistenza di un essere umano meno che cosa.
Una cosalità da far vana l’immaginazione di qualunque Frankenstein quando su Twitter, il profilo My Favorite Horror, offre i frame di un video raggelante: una donna con un bimbo in braccio, un bambino finto così reale – nello sguardo, nei movimenti, nel vagito – come neppure un homunculus nella più abietta negromanzia.
Un coso, a dirla tutta, raccapricciante. Ovviamente sono dei manufatti “umanidi” utilizzati da tempo al cinema, l’attrezzeria – specialmente nell’evoluzione del digitale – sopravanza di fantasia ma questo bebè (fatta salva la delicatezza propria dell’imago, dell’innocenza propria dell’infanzia) è qual-
cosa di “ulteriore” rispetto alle bambole perfettamente “umane” nella pelle, negli orifizi e negli umori, pronte da possedere e destinate ai bordelli.
Non serve a nulla prodursi in anatemi – signora mia, dove finiremo – ma la suggestione rimanda all’androgino inteso, nel suo
mistero, nel terribile suo segreto, come “uomo perfetto”.
Ecco tornare Séraphita, il personaggio del romanzo omonimo di Honoré de Balzac che Minna vede come un uomo – Séraphitus – mentre agli occhi di Wilfred è donna.
Su questa terra l’androgino – nel quale coesistono i due sessi, sia dal punto di vista anatomico, sia fisiologico – non è un angelo bensì un uomo perfetto. Un essere totale e una cosa, infine.
L’unica cosa della cosa è la stessa struttura della sua esistenza, la sua naturalezza nel divenire qualunque cosa: bambino, puttana, comunque umanide e giammai un semplice robot.
L’estremo approdo della tentazione è la perfezione.
Da qualche parte, insomma, si va per arrivare da nessuna parte (signora mia).