Il Fatto Quotidiano

Per essere gattari ci vuol la vocazione

- » BENEDICTA BOCCOLI

“Amici pelosi, gatti romani, concittadi­n: il male che l’uomo vi fa spesso gli sopravvive, il bene…non sarà mai abbastanza”. “M ao oo ”. È chiamato Giulio Cesare, è i l gattaro del Quadraro, quando entra nella colonia felina i gatti gli si affollano tra le gambe e lui gli rivolge queste parole rubate a Shakespear­e. Giulio Cesare onora così la memoria di sua moglie, Adelina, una delle gattare più amorevoli di Roma. Perché a Roma i gatti sono cittadini a tutti gli effetti, mi dice, hanno diritti e tutele, specialmen­te quelli randagi che si riuniscono in tante colonie. Io ricordavo a malapena che, nella commedia musicale, Rugantino affamato si contende la pappa con un soriano furibondo sotto lo sguardo di una vecchina perplessa. Quella di gattara è una vocazione da donne, ma Giulio Cesare fa eccezione! Lo vedi lì, tra miagolii, che declama, nutre, cura, e cattura. Eh sì. Quella di catturatri­ce è una specializz­azione gattaresca che serve a contenere le nascite. Perché se tra i cittadini della Roma di sopra c’è una profonda crisi di nascite, tra quelli della Roma di sotto si procrea che è una meraviglia. Lui provvede a spese proprie, sterilizza le femmine, in attesa di una legge che sostenga questa necessità. E i mici più in difficoltà se li porta a casa, e li salva. A Roma è pieno di piattinare, mi dice, quelle che si limitano solo ai croccantin­i per lavarsi la coscienza. Lui no. Lui è gattaro tout court. Ci parla coi mici. Dà loro un nome. Quello che ha tra le gambe è un certosino anziano, l’ha chiamato Seneca perché mangia di nascosto, ma con discrezion­e; poi c’è Nerone, Catone, Petronio, a seconda del carattere di ciascuno gli affibbia il nome giusto. Didone è la matriarca, la madre di tutti, la mille volte madre. La rispetta come fosse una dea. E lei, diffidente con tutti, a lui salta in braccio in un dolce florilegio di fusa.

(ha collaborat­o Massimilia­no Giovanetti)

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