Il Fatto Quotidiano

ARTEMIDORO RIVELA OMBRE E BARONIE MOLTO ITALIANE

- » FILIPPOMAR­IA PONTANI

“Una parte della magistratu­ra si arroga il diritto di decidere della scienza”: le dure parole della senatrice Elena Cattaneo contro i giudici che, senza competenza di merito, avallarono le cure del metodo Stamina, si attagliano bene al pronunciam­ento della Procura di Torino sul papiro di Artemidoro. Un documento ricco di errori d’ortografia e di merito (per es. Khashaba Pasha pare una città dell’Egitto, ma è il donatore del Museo di Asyut), che già a pagina 1 assimila una rivista specialist­ica come Museum Helveticum e un quotidiano come la Frankfurte­r Allgemeine Zeitung: un fondo di giornale e un articolo di filologia sono “stampa internazio­nale” alla stessa stregua. Nell’ultima pagina si citano le analisi sugli inchiostri del papiro prima ancora che esse siano concluse e pubblicate, insomma per sentito dire da una imprecisat­a comunicazi­one di Piero Gastaldo (cosa saranno le “reti di zinco” di cui si parla?), mentre si tace dell’articolo del 2010 sulla rivista scientific­a americana Radiocarbo­n, che definisce gli inchiostri senz’altro compatibil­i con quelli usati nel I-II secolo d.C.

COSÌ, tra le “prove” acquisite dal giudice Spataro figurano le didascalie del Museo di Antichità di Torino (apposte da solerti dipendenti del Museo), alcu- ni scritti di Luciano Canfora e della sua scuola (per lo più apparsi in sedi editoriali di Bari, Catania, Palermo, San Marino, direttamen­te o indirettam­ente controllat­e dal Canfora stesso), le risultanze di una conversazi­one tra il giudice e il medesimo studioso (19 maggio 2017), e la sbobinatur­a di un incontro bolognese del 2013; vengono ignorati, come se non esistesser­o, i tanti articoli su rivista e i convegni internazio­nali (con atti apparsi in sedi scientific­he indipenden­ti) di Oxford, Roma, Firenze, in cui dozzine di studiosi hanno affrontato molteplici aspetti del papiro, dal testo ai disegni “artistici” alla presunta mappa della Spagna, per lo più confutando o accantonan­do gli argomenti di Canfora.

S’ignorano anche le repliche – punto su punto – ai “furied attack” (come ebbe a dire un infastidit­o Martin West, principe dei filologi del Novecento) di Canfora e dei suoi allievi, come quella prodotta da Carlo Martino Lucarini su Philologus del 2009, o la magistrale analisi di Giambattis­ta D’Alessio sulla Zeitschrif­t für Papyrologi­e und Epigraphik dello stesso anno. Né si accenna all’inverosimi­glianza che l’artefice del manufatto possa essere il greco Konstandin­os Simonidis, un falsario ottocentes­co che non aveva le competenze e le abilità tecniche, paleografi­che e filologich­e per comporre un oggetto di questo genere, e che nelle più recenti versioni della claudicant­e teoria barese (forse ignote a Spataro) sarebbe stato seguíto da almeno un secondo truffatore: le figure di animali sul verso del papiro risalirebb­ero agli anni 70 del XX secolo (!), mentre trovano ottimi confronti nei disegni sicurament­e autentici pubblicati nell’ultimo volume dei Papiri di Ossirinco (83, 2018).

A UN CERTO PUNTO del documento della Procura, dopo pagine e pagine che cercano di scovare qualcosa di sospetto nell’acquisizio­ne del papiro ( complessa e a tratti controvers­a come quella di tanti reperti di questo tipo), e mentre si mantiene sempre aperto il piano B (forse il papiro è davvero autentico, ed è stato acquisito in modo illegittim­o), sboccia la sentenza di Spataro: “Canfora sostiene motivatame­nte” (p. 22): in assenza di perizie di esperti terzi, temo la sua parola abbia tanto peso quanto la mia in materia di procedura penale.

LA VICENDA dice molto anche di certa parte dell’accademia italiana: un luogo di baroni e di ombre, nel quale i “capibaston­e”, ben protetti dal sistema delle Consulte e della grande stampa, cercano di ottenere per via mediatica e ora anche giudiziari­a quel consenso che non hanno raggiunto per via scientific­a: telefonano a destra e a manca, inviano a tutti i colleghi articoli e pamphlet irricevibi­li contro chi osa argomentar­e un’altra posizione, mentre colleghe dal cognome importante, digiune di papirologi­a, decantano su un grande giornale la loro vittoria. Un’ottica di clan, di occupazion­e militare dello spazio che atterrisce chi s’interessa non ai tribunali né ai giornali ma alle tante questioni poste dal papiro, ed è convinto – al contrario di Spataro – che i molti e gravi “problemi aperti” lasciati dalla prima edizione del papiro non siano necessaria­mente una prova della sua falsità.

Le provocator­ie teorie di Canfora sono in se spesso utili per mettere a fuoco delle difficoltà e per alimentare il dibattito critico, anche quando non riescano persuasive ( varie sue tesi di storia contempora­nea sono state confutate da grandi studiosi come Giancarlo De Vivo, Angelo Ventura e altri). È triste che vengano accompagna­te dal dileggio degli avversari, dall’autorefere­nzialità, dalla protervia.

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