Sentenze pilotate al CdS “Ha un pacchetto da dieci”
Consiglio di Stato Le rivelazioni di Amara, ex legale dell’Eni, sui patti corruttivi tra giudici e avvocati. Quattro finiscono ai domiciliari
“Vinti c’ha un pacchetto di dieci cose là, capito? Perchè quando va a fare qualche operazione... non è che va a fare l’operazione... questi sono per la cosa di Romeo... va là... questi sono per te... no?... Poi negozia dieci cose”. Così, il 16 gennaio 2016, l’ex parlamentare Italo Bocchino parlava con l’imprenditore campano Alfredo Romeo dell’avvocato Stefano Vinti. Era un’intercettazione captata nell’ambito dell’indagine Consip, poi confluita in un’altra inchiesta della procura di Roma che riguarda un giro di sentenze comprate al Consiglio di Stato come pure nei tribunali amministrativi. Romeo e Bocchino sono estranei a queste vicende, ma dopo le parole dell’ex parlamentare si è concretizzata l’accusa della Procura di Roma che ha iscritto nel registro degli indagati l’avvocato Vinti per corruzione in atti giudiziari: i pm Paolo Ielo e Stefano Rocco Fava lo accusano di essersi accordato con l’avvocato Piero Amara per corrompere l’ex giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo. È scritto nel capo di imputazione: “Russo per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio (...) riceveva da Vinti - che agiva in accordo (...) con Amara - per sè e per il padre utilità”. Come la nomina del padre a presidente del collegio arbitrale che doveva decidere sulla vicenda Sti-Antas.
A parlare del ruolo di Vinti, è l’avvocato Amara (già indagato per corruzione in atti giudiziari), che ai pm il 24 aprile 2018 rivela: “In un’occasione su richiesta dell’avvocato Vinti per far pervenire utilità economiche a Nicola Russo venne nominato il padre alla presidenza di un arbitrato. Vinti, che non so se abbia erogato al consigliere Russo somme di denaro, mi disse di aver ricevuto favori da Russo, in relazione a un contenzioso che riguardava Romeo”.
PER QUESTO l’avvocato Vinti ieri è stato perquisito. Mentre, nell’ambito della stessa indagine, sono state emesse quattro ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari. Tra questi l’ex presidente del Consiglio di giustizia amministrativa siciliano Raffaele de Lipsis, l’ex consigliere della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso, il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo e il deputato siciliano di Popolari e Autonomisti, Giuseppe Gennuso.
Gennuso era uscito sconfitto per una manciata di voti dalle elezioni del 2012 dell’As- semblea Regionale Siciliana. Fece ricorsi e appelli tra Tar e Consiglio di Stato. In quel contesto avrebbe corrotto “Raffaele Maria de Lipsis (…) versandogli somme di denaro non inferiori a 30 mila euro, con la mediazione di Piero Amara, Giuseppe Calafiore e Pietro Caruso”. È in quell’occasione che Amara e con un altro avvocato, Giuseppe Calafiore, stringono rapporti con l’ex magistrato contabile Caruso. Gli stessi che “si sono in seguito sviluppati nei conten- zio si Open Lande AmGro up ”. Si parla di affari importanti: “Il nostro core business erano Open Lande AmGro up ”, racconta Amara il 23 aprile 2018. L’avvocato ricorda i fatti accaduti nel Natale 2014, quando era in corso la camera di consiglio della vicenda Open Land. “Il nostro tentativo fu di non quantificare i danni reali ma di implementarli”, spiega Amara. Del resto “Nel caso Open Land altro sono i 5/6 milioni che tutti ritenevano, di cui la Frontino (compagna di Calafiore, nd r) aveva diritto, altro è 24 milioni di euro che furono completamente inventati” da un consulente “amico”.
PER RIUSCIRE ne ll ’ in te nt o venne organizzata una cena a casa di Amara: “C’erano Longo (pm siracusano arrestato lo scorso anno, ndr ), Caruso e Calafiore…”. Il racconto è emblematico: “Caruso era a suo dire l’intermediario di De Lipsis (…). Calafiore era in grado di ottenere da Longo qualsiasi cosa nell’ottica di una funzione oramai comprata, mentre
per me Longo era a disposizione a gettone. Caruso ci chiese 30 mila euro per De Lipsis per ottenere le nomine a noi gradite. Calafiore ne versò 20 mila a Caruso”. E così i tecnici “amici” vennero nominati e se non fosse stato per l’intervento della magistratura il sistema Amara avrebbe sottratto cifre importanti ai modesti bilanci del Comune di Siracusa.
Altro spaccato interessante riguarda il rapporto con Nicola Russo, lo stesso che come rivelato nel numero in edicola sabato del mensile del Fatto, Fq Millenium, ha più volte giudicato vicende che riguardavano aziende dei Gravina, nonostante il fratello fosse dipendente del gruppo. Ai pm Amara racconta: “Fu paradossalmente lui ad aprire il rapporto(…) quando si instaurano quel tipo di rapporti, un giudice che ti chiede un prestito, chiaramente in modo irresponsabile, tu lo dai perché comunque, tra virgolette, mantieni il rapporto col giudice”.
Il verbale “Quando una toga ti chiede un prestito, tu lo dai perché mantieni il rapporto”