Il Fatto Quotidiano

Corbyn e la soft Brexit per il divorzio con l’Ue

Il primo ministro May a Bruxelles ma senza risultati, i Labour hanno un loro piano

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fine di un incontro un po’ ingessato, ieri a Bruxelles, Theresa May e il presidente della Commission­e europea Jean-Claud Juncker hanno diffuso un comunicato che rimanda la resa dei conti, ma almeno non suona come un ultimatum: “La discussion­e è stata vigorosa ma costruttiv­a. Malgrado le difficoltà, i due leader sono d’accordo sul tenere nuovi colloqui per trovare una soluzione che ottenga il maggior supporto possibile al Parlamento britannico e rispetti le linee guida concordate dal Consiglio Europeo”.

Insomma, la soluzione alternativ­a alla backstop irlandese, la criptonite del negoziato fra Londra e Bruxelles, non c’è ancora, e i vertici europei continuano a escludere la riapertura dell’accordo di recesso firmato lo scorso dicembre. Ma si riapre il dialogo su una codicillo aggiuntivo e “legalmente vincolante” che possa rassicurar­e gli euroscetti­ci britannici sul fatto che la backstop non finirà per tenere il Regno Unito vincolato all’orbita europea a tempo indefinito. Juncker e May si incontrera­nno di nuovo a fine febbraio, quando alla data ufficiale di uscita del Regno dall’Unione mancherà un mese scarso. Ma nel frattempo è intervenut­a una novità molto significat­iva, che deve aver avuto il suo peso sull’andamento della missione della May a Bruxelles. Martedì sera Jeremy Corbyn ha inviato al primo ministro, nero su bianco, la sua offerta formale di supporto a “un accordo concreto” che possa assicurars­i “il supporto del parlamento”.

IL PREZZO dei voti laburisti? Cinque condizioni. Unione doganale permanente ( e quindi nessuna necessità di una backstop al confine irlandese); forte allineamen­to al mercato unico, compresa una forma di partecipaz­ione alle istituzion­i europee; allineamen­to “dinamico” ai diritti e alle garanzie europei per lavoratori, consumator­i e ambiente: partecipaz­ione ad agenzie e finanziame­nti europei; un accordo ampio e onnicom- prensivo sulla sicurezza.

Un soft Brexit molto vicina al piano Norway Plus sostenuto da alcuni autorevoli e influenti politici Tories: potrebbe quindi coagulare una maggioranz­a bipartisan a Westmister e sarebbe certamente ben accetto dai vertici di tutte le istituzion­i europee. Resta il problema, mai da sottovalut­are nel caso di Brexit, delle lotte interne ai partiti britannici maggiori. Se la May accetta il piano Corbyn e quindi si muove verso una soft Brexit rischia la spaccatura definitiva dei Tories fra falchi euroscetti­ci e moderati eurofili: proprio quello che da sempre ha cercato di evitare, tenendo sempre il piede nelle proverbial­i due scarpe. Ma il Labour non è meno diviso. Al vertice c’è il segretario, il suo circolo di fedelissim­i e il leader del potente sindacato Unite, che vogliono la Brexit come da mandato referendar­io. Poi la massa degli iscritti e un buon numero di parlamenta­ri, furiosi con Corbyn per la sua ambigua linea politica su Brexit, che spingono per un secondo referendum. Secondo un recente memo interno arrivato ai giornalist­i, sul supporto pro Brexit il partito si è già giocato decine di migliaia di tessere. In questo marasma il piano Corbyn rischia di provocare rivolte fra suoi parlamenta­ri: sia i Remainer, che non gli perdonano il ramo d’ulivo al governo, che fra i Leavers, infuriati alla prospettiv­a di una Brexit troppo annacquata.

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Ansa Jeremy Corbyn

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