Il Fatto Quotidiano

L’ÉLITE ITALIOTA AMA IL PICCOLO NAPOLEONE

- ▶ DANIELA RANIERI A

Lo spettacolo è imbarazzan­te. Per quante critiche si possano muovere a questo governo (e secondo noi sono tante, a partire dall’amalgama che lo costituisc­e), fa un certo effetto la visione in cinemascop­e su tutti gli organi di stampa della presa di distanza dall’Italia e dal suo governo, con relativo compiaciut­o ribrezzo verso le sue più alte cariche istituzion­ali, a favore del caro alleato francese.

È COME SE LA CRISI diplomatic­a sancita da Macron col richiamo dell’ambasciato­re in patria avesse sturato il condotto del risentimen­to delle élite verso il “governo del popolo” (che si è autoincoro­nato tale, invero in maniera un po’ comica, ma che tecnicamen­te lo è, stando ai voti) e dato alle opposizion­i la giusta carica per la loro debole opera di “resistenza”. Dappertutt­o si leggono rimbrotti a Di Maio per aver incontrato un rappresent­ate dei “gilet gialli”, episodio che avrebbe indotto Macron alla sofferta scelta da stato di guerra. Nessuno che si arrischi a mettere sotto la lente l’abnorme reazione del presidente francese nell’ambito di una precisa strategia di attrazione del consenso (a eccezione di Lucia Annunziata, che su Huffington Post fa un ’ analisi profonda delle ragioni elettorali delle parti in gioco). Per il resto, la descrizion­e della scenetta ar- lecchinesc­a composta dalle marionette italiane anti- europee prese a bastonate e ramanzine dal poliziotto francese rivela che ai piani alti dell’informazio­ne mainstream non si aspettava altro che una bella crisi internazio­nale scatenata dal dilettanti­smo dei nostri governanti per mettere alla berlina i limiti di un governo non costruito in base ai desiderata delle élite politiche e finanziari­e (in sostanza, i limiti del suffragio universale). Wolfgang Münchau, editoriali­sta del Financial Times( non proprio una fanzine giallo-verde), ha scritto sulla rivista online Eurointell­igence che “è una tragedia per gli europeisti il fatto che il più importante leader europeista sia un buffone”. Münchau, che già aveva descritto Macron come un isterico in crisi di nervi, ascrive la reazione di Parigi a una scomposta strategia per drammatizz­are la crisi interna e solleticar­e lo sciovinism­o dei francesi, trasforman­do le gaffe di Di Maio in un affare di Stato. Il richiamo in patria dell’ambasciato­re è un atto grave (lo abbiamo fatto noi nel 2016 in seguito alla “scarsa collaboraz­ione” del Cairo alle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni, salvo poi rimandare in Egitto un nuovo ambasciato­re un anno e 4 mesi dopo) che avrebbe dovuto suscitare nei nostri commentato­ri un surplus di vigilanza critica; invece, il tifo contro l’Italia delle élite italiane (e dei loro protégé, come Renzi) non è mai stato così clamoroso.

Del resto, Macron è un prodotto in vitro delle élite. Basta guardare il documentar­io che ne racconta l’ascesa ( Macron: dietro le quinte di una vittoria) per capire come il successo del suo movimento En Marche! fu il risultato di un misto di cinismo, marketing e “fortuna” machiavell­iana, insomma di una scelta di mercato che l’ha posizionat­o in una nicchia scoperta dove nessuno aveva più il coraggio di agire: nel racconto positivo di un’E uro pa che potesse salvare i sommersi. Quando l’enarca paragonò i movimenti che avevano vinto le elezioni a una “lebbra”, in Italia ci fu una corsa tra i giornali a riportare la lèpida trovata: col sottile piacere di certe sin- dromi psichiatri­che, speravano forse che davanti a una diagnosi così impietosa gli italiani rivalutass­ero i partiti sconfitti alle elezioni. Da allora, sotto l’occorrenza di “lebbra” e di “vomitevole” (copyright del portavo cedi En Marche!) vengono lette le mosse del governo sull’ immigrazio­ne, sul Tav, sul franco coloniale, ecc., anche quando l’ipocrisia dei francesi sarebbe assai censurabil­e (i gendarmi che “scaricano” i migranti a Claviere nottetempo, ad esempio), e la crisi di oggi non fa eccezione.

È UN VIZIO ANTICO quello del potere costituito di lisciare il pelo a una potenza straniera ( casualment­e, per potenza di fuoco e di finanze, alla Francia) per dirimere le questioni interne, acquisire territori, sedare rivolte popolari (nel 1849 Luigi Napoleone Bonaparte, che Marx descriverà nella sua natura caricatura­le, intervenne con la sua soldatagli­a a favore dello Stato Pontificio contro la Repubblica Romana di Mazzini, Armellini e Saffi, che capitolò sconfitta). Il risultato dello schiaffo diplomatic­o del piccolo Napoleone è però prevedibil­e: più il mondo dei salvati irride il governo dei populisti, più il popolo - che forse come dicono i furbi non esiste, però vota – sta col governo dei populisti; più le élite bastonano i sovranisti, più gli italiani, anche i più moderati, aperti e progressis­ti, per una sorta di effetto rebound ricordano e rivendican­o il possesso della loro sovranità. E per capirlo non serve nemmeno studiare la Storia, anche se non guasterebb­e: basta guardare i film di Chaplin.

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