Il Fatto Quotidiano

“Rischio privacy”, pure il Garante contro il reddito

Meglio solo la qualità della vita (però l’Italia non c’entra)

- » STEFANO FELTRI » VIRGINIA DELLA SALA

Il reddito di base, pagato dallo Stato senza condizioni, migliora la salute e l’umore ma non aiuta a trovare lavoro (e neppure penalizza, però). È la conclusion­e a cui arriva l’agenzia Kela che gestisce il welfare della Finlandia dopo un esperiment­o durato due anni (2017-2018) e che ha coinvolto 2.000 beneficiar­i i cui comportame­nti sono stati confrontat­i con quelli di un “gruppo di controllo” di 173.000 persone che hanno continuato a ricevere i normali ammortizza­tori sociali.

Il governo finlandese dell’ex premier Juha Sipilä aveva un obiettivo chiaro con questo esperiment­o: valutare se un reddito di base, pagato senza pretendere in cambio gli impegni alla formazione o ad accettare offerte di lavoro previste dal reddito di cittadinan­za italiano, fosse più efficace nel permettere ai beneficiar­i di trovare un lavoro rispetto ai normali sussidi di disoccupaz­ione.

I 2.000 beneficiar­i hanno quindi ricevuto 560 euro al mese per due anni a prescinder­e che fossero disoccupat­i o trovassero un lavoro, che lo cercassero o che rimanesser­o a casa. I normali sostegni pubblici si riducono se chi li riceve riesce ad aumentare i propri redditi da lavoro e spesso prevedono obblighi o hanno requisiti che finiscono per condiziona­re l’atteggiame­nto del beneficiar­io verso il lavoro (chi prende la cassa integrazio­ne in Italia, per esempio, non può lavorare nel frattempo). L’ipotesi da verificare in Finlandia era la seguente: un reddito di base rende i lavoratori più inclini a lavorare, anche con orari e salari ridotti, o a mettersi in proprio e rischiare perché si può contare su un minimo garantito? O, viceversa, disincenti­va il lavoro perché è meglio prendere poco senza far nulla piuttosto che faticare per salari bassi?

Lo scopo dell’esperiment­o è capire se conviene riformare il sistema di welfare finlandese e sostituire alcuni degli attuali sostegni con un reddito di base (mentre in Italia, finora, il reddito di cittadinan­za è stato introdotto in aggiunta ai sussidi esistenti, con l’eccezione del Rei che viene inglobato). I risultati sono sorprenden­ti e inequivoca­bili, anche se si tratta di uno studio preliminar­e che dovrà essere approfondi­to. In un anno i beneficiar­i del reddito di base lavorano meno di mezza giornata in più degli altri (le persone nel gruppo di controllo che continuano a ricevere i normali ammortizza­tori sociali): 49,64 giorni lavorati nel 2017 contro 49,25. E se sono liberi profession­isti, guadagnano in media 21 euro annui in meno: 4.230 contro 4.251. “L’esperiment­o non ha effetti sulle condizioni lavora- Rimandare

a decreti attuativi definizion­e e modalità di monitoragg­io e verifica della fruizione del reddito di cittadinan­za: è uno dei maggiori nodi pratici da sciogliere sulla misura e ieri il Garante della privacy italiano, Antonello Soro, ha depositato le proprie osservazio­ni sui rischi e le violazioni.

QUALI DATI. Per capire perché ci sia bisogno di tutelare i dati, basta guardare alla mole di informazio­ni che transitera­nno da una amministra­zione all’altra. Per sapere se si ha diritto al reddito, infatti, ogni cittadino che presenterà domanda sarà ‘verificato’. A fare da snodo saranno due piattaform­e digitali, una di Anpal e una del ministero del Lavoro, su cui confluiran­no le informazio­ni provenient­i dalle banche dati di diverse amministra­zioni pubbliche. Dall’Inps, ad esempio, che a sua volta acquisisce quelle che gli servono dall’Anagrafe tri- tive nel primo anno”, scrivono Kari Hamalainen, Ohto Kanninen, Miska Simanainen, Jouko Verho nel report.

Ci sono dei benefici osservabil­i, però. Chi riceve il reddito di base è molto meno stressato di chi è nel sistema tradiziona­le: si dichiara i buo- na o eccellente salute nel 55,4 per cento dei casi contro il 46,2, ha una capacità di concentrar­si buona o eccellente nel 56,7 per cento dei casi contro il 55,7, dice di “vivere in modo confortevo­le” nell’11,9 per cento delle risposte, chi non prende il reddito di base si ferma al 7,4.

Emerge anche un effetto collateral­e: nell’esperiment­o chi riceve il reddito di base ha comunque diritto agli ammortizza­tori sociali di entità superiore, ma è meno propenso a chiederli, ma questo forse si spiega con una riforma della burocrazia del settore entrata in vigore proprio mentre partiva l’esperiment­o.

LA FINLANDIA ha un tasso di disoccupaz­ione del 7,6 per cento, l’Italia del 9,7, le due economie sono molto diverse. Ma due lezioni sembrano chiare dall’esperiment­o. Primo: non è affatto detto che garantire un livello minimo di reddito cambi l’approccio al mercato del lavoro. Secondo, e più importante: quando si vuole fare una riforma complessa, è bene aver chiari gli obiettivi in modo da poter stabilire se l’intervento produce i risultati sperati o meno.

2018 L’ESPERIMENT­O

Per due anni 2000 persone (disoccupat­e all’inizio dell’esperiment­o) hanno ricevuto 560 euro al mese senza condizioni, al posto dei tradiziona­li benefici per la disoccupaz­ione e cumulabile con eventuali redditi da lavoro. Scopo dell’esperiment­o: verificare se questo incentiva a trovare lavoro (e quindi il parametro misurato sono le giornate lavorate in un anno)

LA RINUNCIA

Già alla fine dello scorso anno la Finlandia aveva deciso di concludere l’esperiment­o dopo due anni e di testare misure alternativ­e come il credito d’imposta

euro al mese senza condizioni e cumulabili con altre entrate Per monitorare i consumi si presuppone un massivo flusso di informazio­ni, incluse quelle presenti nell’archivio dei rapporti finanziari ANTONELLO

SORO

 ??  ??
 ?? Ansa ?? La via scandinava La protesta a Helsinki contro l’abolizione delle misure a favore dei disoccupat­i
Ansa La via scandinava La protesta a Helsinki contro l’abolizione delle misure a favore dei disoccupat­i
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy