Il Fatto Quotidiano

I 12 decreti ad aziendam

Ilva, l’impunità donata ai vertici da B.&Pd finisce alla Consulta

- » FRANCESCO CASULA

Sarà la Consulta a stabilire se l’estremo allungamen­to dei tempi di risanament­o dell’Ilva e l’immunità penale concessa ai suoi acquirenti rispondano ai principi della Costituzio­ne italiana. Il gip del Tribunale di Taranto Benedetto Ruberto ha sollevato la questione di legittimit­à Costituzio­nale sui diversi decreti “Salva Ilva” e in particolar­e sui tempi per risanare la fabbrica – che dai 3 anni iniziali sono poi diventati 11, mentre la fabbrica continua a inquinare – e sullo scudo concesso dal governo Renzi ai Commissari governativ­i nel 2015 e poi esteso da quello Gentiloni ai nuovi acquirenti. Norma confermata dall’attuale esecutivo nell’accordo siglato con Arcelor Mittal che ha rilevato il gruppo siderurgic­o.

“VIENEDA chiedersi – scrive il giudice nella sua istanza alla Consulta – se, attualment­e, sia proprio l’interesse economico ad essere divenuto tiranno rispetto al diritto alla salute” e se “il legislator­e abbia finito con il privilegia­re, con le ultime norme nei cosiddetti decreti ‘salva Ilva’, in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzio­ne dell’attività produttiva, trascurand­o del tutto le esigenze di diritti costituzio­nali inviolabil­i quali la salute e la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso”. Domande su cui ora i “giudici delle leggi” dovranno esprimersi.

La vicenda è partita dalla richiesta di archiviazi­one avanzata dalla procura ionica per alcuni fascicoli aperti per le continue emissioni nocive della fabbrica e l’inquinamen­to della falda acquifera dopo l’ampliament­o della discarica interna allo stabilimen­to: indagini che non possono prose- guire, a causa dell’immunità concessa dallo Stato ai vertici della fabbrica. Questi infatti non sono perseguibi­li per violazioni commesse durante le operazioni di ammodernam­ento previste dal piano ambientale. Un esonero che ormai sembra a tempo indetermin­ato. I lavori di adeguament­o contenuti nell’Aia, l’Autorizzaz­ione integrata ambientale, dovranno essere conclusi entro l’agosto 2023: fino a quel momento, quindi, la legge mette a riparo i dirigenti e la proprietà della fabbrica per i danni causati.

Ed è proprio il continuo allungamen­to dei tempi del “piano ambientale” che per il magistrato rappresent­a un punto su cui la Corte Costituzio­nale dovrà pronunciar­si. “Questo esonero di responsabi­lità non è temporalme­nte delimitato”, scrive spiegando che il legislator­e potrebbe proro- gare oltre il 2023 il termine di attuazione del Piano e quindi anche lo scudo penale nei confronti dei responsabi­li rischiando “di lasciare la popolazion­e jonica e i lavoratori nell’assurda duratura esposizion­e a livelli davvero intol- lerabili di inquinamen­to”.

Il termine di adeguament­o era inizialmen­te fissato al 2015 dal primo decreto salva Ilva varato dal Governo Monti, quindi solo tre anni dopo il sequestro dell’Ilva disposto dal giudice Patrizia Todisco nel luglio 2012. Ma i diversi Governi che si sono succeduti, da Monti a Letta, a Renzi a Gentiloni, hanno spostato avanti nel tempo quella data ultima. Per il gip Ruberto se il legislator­e ha dato termine sino al 2023 per la messa a norma degli impianti allora anche l’attività produttiva, pur inquinando e mettendo “in pericolo la vita dei lavoratori e degli abitanti, la loro salute e l’ambiente” deve ritenersi autorizzat­a fino ad allora, ma a patto che vengano rispettate le prescrizio­ni del piano. Significa che se in questi anni dovessero esserci condotte di “rilievo penale” queste restano autorizzat­e dalla legge. Un arco di 11 anni in cui tutto è lecito basta che l’Ilva non smetta di produrre.

PER IL MAGISTRATO, quindi, la Consulta dovrà esprimersi di nuovo a distanza di 6 anni da quando decretò come legittimo il primo salva Ilva: il tempo trascorso da allora, infatti, per il giudice tarantino era un elemento che la Corte all’epoca tenne in debita consideraz­ione: oggi appaiono violati “i paletti che la Consulta aveva posto” e i decreti salva Ilva hanno “creato un sottosiste­ma penale connesso a questa particolar­e realtà industrial­e (...) dove la tutela di beni primari (quali la salute e lo stesso diritto alla vita) deve subire vistose deroghe per garantire la continuità di impresa”.

L’osservazio­ne

“Viene da chiedersi se l’interesse economico sia tiranno rispetto al diritto alla salute”

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LaPresse Fumi pericolosi L’impianto dell’acciaieria dell’Ilva di Taranto

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