I 12 decreti ad aziendam
Ilva, l’impunità donata ai vertici da B.&Pd finisce alla Consulta
Sarà la Consulta a stabilire se l’estremo allungamento dei tempi di risanamento dell’Ilva e l’immunità penale concessa ai suoi acquirenti rispondano ai principi della Costituzione italiana. Il gip del Tribunale di Taranto Benedetto Ruberto ha sollevato la questione di legittimità Costituzionale sui diversi decreti “Salva Ilva” e in particolare sui tempi per risanare la fabbrica – che dai 3 anni iniziali sono poi diventati 11, mentre la fabbrica continua a inquinare – e sullo scudo concesso dal governo Renzi ai Commissari governativi nel 2015 e poi esteso da quello Gentiloni ai nuovi acquirenti. Norma confermata dall’attuale esecutivo nell’accordo siglato con Arcelor Mittal che ha rilevato il gruppo siderurgico.
“VIENEDA chiedersi – scrive il giudice nella sua istanza alla Consulta – se, attualmente, sia proprio l’interesse economico ad essere divenuto tiranno rispetto al diritto alla salute” e se “il legislatore abbia finito con il privilegiare, con le ultime norme nei cosiddetti decreti ‘salva Ilva’, in modo eccessivo l’interesse alla prosecuzione dell’attività produttiva, trascurando del tutto le esigenze di diritti costituzionali inviolabili quali la salute e la vita stessa, nonché il diritto al lavoro in ambiente sicuro e non pericoloso”. Domande su cui ora i “giudici delle leggi” dovranno esprimersi.
La vicenda è partita dalla richiesta di archiviazione avanzata dalla procura ionica per alcuni fascicoli aperti per le continue emissioni nocive della fabbrica e l’inquinamento della falda acquifera dopo l’ampliamento della discarica interna allo stabilimento: indagini che non possono prose- guire, a causa dell’immunità concessa dallo Stato ai vertici della fabbrica. Questi infatti non sono perseguibili per violazioni commesse durante le operazioni di ammodernamento previste dal piano ambientale. Un esonero che ormai sembra a tempo indeterminato. I lavori di adeguamento contenuti nell’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale, dovranno essere conclusi entro l’agosto 2023: fino a quel momento, quindi, la legge mette a riparo i dirigenti e la proprietà della fabbrica per i danni causati.
Ed è proprio il continuo allungamento dei tempi del “piano ambientale” che per il magistrato rappresenta un punto su cui la Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi. “Questo esonero di responsabilità non è temporalmente delimitato”, scrive spiegando che il legislatore potrebbe proro- gare oltre il 2023 il termine di attuazione del Piano e quindi anche lo scudo penale nei confronti dei responsabili rischiando “di lasciare la popolazione jonica e i lavoratori nell’assurda duratura esposizione a livelli davvero intol- lerabili di inquinamento”.
Il termine di adeguamento era inizialmente fissato al 2015 dal primo decreto salva Ilva varato dal Governo Monti, quindi solo tre anni dopo il sequestro dell’Ilva disposto dal giudice Patrizia Todisco nel luglio 2012. Ma i diversi Governi che si sono succeduti, da Monti a Letta, a Renzi a Gentiloni, hanno spostato avanti nel tempo quella data ultima. Per il gip Ruberto se il legislatore ha dato termine sino al 2023 per la messa a norma degli impianti allora anche l’attività produttiva, pur inquinando e mettendo “in pericolo la vita dei lavoratori e degli abitanti, la loro salute e l’ambiente” deve ritenersi autorizzata fino ad allora, ma a patto che vengano rispettate le prescrizioni del piano. Significa che se in questi anni dovessero esserci condotte di “rilievo penale” queste restano autorizzate dalla legge. Un arco di 11 anni in cui tutto è lecito basta che l’Ilva non smetta di produrre.
PER IL MAGISTRATO, quindi, la Consulta dovrà esprimersi di nuovo a distanza di 6 anni da quando decretò come legittimo il primo salva Ilva: il tempo trascorso da allora, infatti, per il giudice tarantino era un elemento che la Corte all’epoca tenne in debita considerazione: oggi appaiono violati “i paletti che la Consulta aveva posto” e i decreti salva Ilva hanno “creato un sottosistema penale connesso a questa particolare realtà industriale (...) dove la tutela di beni primari (quali la salute e lo stesso diritto alla vita) deve subire vistose deroghe per garantire la continuità di impresa”.
L’osservazione
“Viene da chiedersi se l’interesse economico sia tiranno rispetto al diritto alla salute”