La secessione dei ricchi
Il Nord si pappa le megacentrali con l’emendamento della Lega
La secessione dei ricchi - che i suoi sostenitori chiamano “autonomia differenziata” per le Regioni, un pessimo lascito della riforma del Titolo V voluta quasi vent’anni fa dal centrosinistra - avanza a grandi e silenziosi passi dentro al corpaccione della produzione legislativa gialloverde. Com’è noto, la Lega vuole i disegni di legge per l’autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (le prime a muoversi) in Consiglio dei ministri la settimana prossima: un testo, però, non c’è ancora e la ministra Erika Stefani sta incontrando qualche difficoltà nel portare i ministeri interessati sulla linea “tutto il potere ai governatori” con cui la Lega intende sostituire, all’odiato centralismo romano, il piccolo centralismo dei capoluoghi.
Intanto però, nel cosiddetto decreto Semplificazioni appena approvato definitivamente, il Carroccio ha incassato “un anticipo di autonomia”, come ha voluto definirlo Attilio Fontana, che vale almeno 360 milioni l’anno, quasi tutti appannaggio delle regioni del Nord.
A CHE “ANTICIPO” si riferisce il presidente leghista della Lombardia? Al passaggio (“s en za compenso”) della proprietà delle grandi derivazioni idroelettriche dallo Stato alle Regioni le cui concessioni siano scadute o in scadenza entro il 2023, in attesa di trasferire anche quelle dell’Enel (il 60% del totale) che decadranno il 31 marzo 2029.
Si tratta, in sostanza, delle grandi centrali che fanno dell’Italia una dei principali produttori di questa energia pulita: dall’acqua, per così dire, arriva oltre il 16% dell’energia nazionale ( il 42% se si contano le sole “rinnovabili”). Finora, come ribadito da una sentenza della Corte costituzionale che aveva dato torto proprio alla Lombardia, nonostante il settore energetico resti materia concorrente, le decisioni sulle grandi concessioni spettavano esclusivamente allo Stato centrale. Le gare, però, sono rimaste bloccate per anni dai dissidi tra governo e Regioni, favoriti anche dalla mancanza della legislazione di dettaglio prevista da un decreto Bersani addirittura del 1999. Ora, grazie a un emendamento approvato in Senato, passa tutto ai governatori: la proprietà delle opere (quelle idromeccaniche, le dighe, etc.) - dietro modesto indennizzo ai concessionari uscen- ti - e la potestà sulle gare per le concessioni e i relativi introiti.
Ci sono due cose che si intrecciano in questa legge. Le norme sulle gare erano necessarie, specie dopo la sentenza della Consulta che bocciava le proroghe, e in questo senso era necessario definire l’indennizzo per i concessionari uscenti. La Ragioneria, infatti, benedice (con tanto di coltellata al governo Monti che invece, con un decreto del 2012, aveva “favorito” i concessionari): “Si ritiene che l’importo complessivo (dell’indennizzo, ndr) possa essere inferiore al 5% del valore complessivo dei beni oggetto di riassegnazione” e quindi “agevolmente posto a carico dei concessionari subentranti” e riassorbito già in sede di gara. Seconda notazione: “In ragione del protrarsi dell’assenza di una disciplina di dettaglio dal 1999, i concessionari hanno limitato gli investimenti perlopiù alla manutenzione ordinaria”. Il che non solo rende meno oneroso l’indennizzo, ma contemporaneamente più forte l’azione di leva per il futuro: è infatti probabile “un ciclo miliardario d’investimenti privati - fino a 5 miliardi - nei prossimi dieci anni” con, secondo l’Ance, 45mila nuovi posti di lavoro e “oltre un miliardo di entrate fiscali in un triennio”.
QUESTO BENGODI da adesso in poi sarà gestito dalle Regioni, divenute proprietarie delle grandi derivazioni idroelettriche. Quali? Essendosi il Trentino Alto Adige già portato avanti, la maggior parte dei benefici sono per Lombardia, Veneto e Friuli (tutte a guida leghista), seguite dal Piemonte e da un po’ di Centro Italia (Emilia Romagna soprattutto).
Al netto degli investimenti, questa legge regala alle regioni più ricche del Paese - calcola la Ragioneria generale basandosi proprio sull’esperienza di Trento e Bolzano - solo per le concessioni già scadute o da riassegnare entro il 2023 “circa 300 milioni di euro all’anno” da canoni a vario titolo, “pari a 9 miliardi di euro nell’arco di durata delle nuove concessioni (considerata una durata media di 30 anni)”; a questi vanno aggiunti “circa 60 milioni di euro all’anno di energia gratuita da destinare a servizi pubblici e categorie di utenti dei territori interessati dalle concessioni”. Questo, ovviamente, al netto delle maggiori entrate, assai probabili, ma che vanno “verificate a consuntivo”.
Se questo è il buongiorno de ll’autonomia differenziata, “secessione dei ricchi” - un’espressione coniata dall’economista Gianfranco Viesti - non pare definizione forzata.
Carte scoperte
Per Fontana (Lombardia) è solo “un anticipo” dell’autonomia regionale da approvare il 15 febbraio