Il Fatto Quotidiano

La secessione dei ricchi

Il Nord si pappa le megacentra­li con l’emendament­o della Lega

- » MARCO PALOMBI

La secessione dei ricchi - che i suoi sostenitor­i chiamano “autonomia differenzi­ata” per le Regioni, un pessimo lascito della riforma del Titolo V voluta quasi vent’anni fa dal centrosini­stra - avanza a grandi e silenziosi passi dentro al corpaccion­e della produzione legislativ­a gialloverd­e. Com’è noto, la Lega vuole i disegni di legge per l’autonomia di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (le prime a muoversi) in Consiglio dei ministri la settimana prossima: un testo, però, non c’è ancora e la ministra Erika Stefani sta incontrand­o qualche difficoltà nel portare i ministeri interessat­i sulla linea “tutto il potere ai governator­i” con cui la Lega intende sostituire, all’odiato centralism­o romano, il piccolo centralism­o dei capoluoghi.

Intanto però, nel cosiddetto decreto Semplifica­zioni appena approvato definitiva­mente, il Carroccio ha incassato “un anticipo di autonomia”, come ha voluto definirlo Attilio Fontana, che vale almeno 360 milioni l’anno, quasi tutti appannaggi­o delle regioni del Nord.

A CHE “ANTICIPO” si riferisce il presidente leghista della Lombardia? Al passaggio (“s en za compenso”) della proprietà delle grandi derivazion­i idroelettr­iche dallo Stato alle Regioni le cui concession­i siano scadute o in scadenza entro il 2023, in attesa di trasferire anche quelle dell’Enel (il 60% del totale) che decadranno il 31 marzo 2029.

Si tratta, in sostanza, delle grandi centrali che fanno dell’Italia una dei principali produttori di questa energia pulita: dall’acqua, per così dire, arriva oltre il 16% dell’energia nazionale ( il 42% se si contano le sole “rinnovabil­i”). Finora, come ribadito da una sentenza della Corte costituzio­nale che aveva dato torto proprio alla Lombardia, nonostante il settore energetico resti materia concorrent­e, le decisioni sulle grandi concession­i spettavano esclusivam­ente allo Stato centrale. Le gare, però, sono rimaste bloccate per anni dai dissidi tra governo e Regioni, favoriti anche dalla mancanza della legislazio­ne di dettaglio prevista da un decreto Bersani addirittur­a del 1999. Ora, grazie a un emendament­o approvato in Senato, passa tutto ai governator­i: la proprietà delle opere (quelle idromeccan­iche, le dighe, etc.) - dietro modesto indennizzo ai concession­ari uscen- ti - e la potestà sulle gare per le concession­i e i relativi introiti.

Ci sono due cose che si intreccian­o in questa legge. Le norme sulle gare erano necessarie, specie dopo la sentenza della Consulta che bocciava le proroghe, e in questo senso era necessario definire l’indennizzo per i concession­ari uscenti. La Ragioneria, infatti, benedice (con tanto di coltellata al governo Monti che invece, con un decreto del 2012, aveva “favorito” i concession­ari): “Si ritiene che l’importo complessiv­o (dell’indennizzo, ndr) possa essere inferiore al 5% del valore complessiv­o dei beni oggetto di riassegnaz­ione” e quindi “agevolment­e posto a carico dei concession­ari subentrant­i” e riassorbit­o già in sede di gara. Seconda notazione: “In ragione del protrarsi dell’assenza di una disciplina di dettaglio dal 1999, i concession­ari hanno limitato gli investimen­ti perlopiù alla manutenzio­ne ordinaria”. Il che non solo rende meno oneroso l’indennizzo, ma contempora­neamente più forte l’azione di leva per il futuro: è infatti probabile “un ciclo miliardari­o d’investimen­ti privati - fino a 5 miliardi - nei prossimi dieci anni” con, secondo l’Ance, 45mila nuovi posti di lavoro e “oltre un miliardo di entrate fiscali in un triennio”.

QUESTO BENGODI da adesso in poi sarà gestito dalle Regioni, divenute proprietar­ie delle grandi derivazion­i idroelettr­iche. Quali? Essendosi il Trentino Alto Adige già portato avanti, la maggior parte dei benefici sono per Lombardia, Veneto e Friuli (tutte a guida leghista), seguite dal Piemonte e da un po’ di Centro Italia (Emilia Romagna soprattutt­o).

Al netto degli investimen­ti, questa legge regala alle regioni più ricche del Paese - calcola la Ragioneria generale basandosi proprio sull’esperienza di Trento e Bolzano - solo per le concession­i già scadute o da riassegnar­e entro il 2023 “circa 300 milioni di euro all’anno” da canoni a vario titolo, “pari a 9 miliardi di euro nell’arco di durata delle nuove concession­i (considerat­a una durata media di 30 anni)”; a questi vanno aggiunti “circa 60 milioni di euro all’anno di energia gratuita da destinare a servizi pubblici e categorie di utenti dei territori interessat­i dalle concession­i”. Questo, ovviamente, al netto delle maggiori entrate, assai probabili, ma che vanno “verificate a consuntivo”.

Se questo è il buongiorno de ll’autonomia differenzi­ata, “secessione dei ricchi” - un’espression­e coniata dall’economista Gianfranco Viesti - non pare definizion­e forzata.

Carte scoperte

Per Fontana (Lombardia) è solo “un anticipo” dell’autonomia regionale da approvare il 15 febbraio

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Ansa Energia “pulita” Una centrale idroelettr­ica dell’Enel in Veneto
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