Non bastano le accise a giustificare i costi del Tav
L’ultimo argomento dei sostenitori del Tav Torino Lione è il seguente: gli esperti della commissione al ministero dei Trasporti stanno truccando i conti perché contano tra i costi il mancato gettito fiscale per lo Stato che deriverà dal passaggio di alcune merci tra Italia e Francia su rotaia invece che su camion. Meno tir significa meno benzina venduta, meno pedaggi autostradali, meno tasse sugli utili dei concessionari e minori introiti per il fisco. Secondo quanto sostenuto da Repubblica, la commissione guidata da Marco Ponti considera soltanto la perdita dovuta alle minori accise ma non i benefici ambientali (cala l’inquinamento) e questo sarebbe uno dei fattori decisivi che portano al risultato negativo dell’analisi costi-benefici che boccerebbe l’opera per uno sbilancio di quasi 7 miliardi.
Poiché il ministero dei Trasporti continua a non divulgare l’analisi, pronta da settimane, si sta diffondendo una grande confusione intorno al suo contenuto. Col risultato che i lettori dei giornali e ancor più gli elettori vengono tempestati di numeri spesso poco coerenti tra loro. Sul punto specifico delle accise, però, qualcosa si può già dire anche in attesa del tanto sospirato documento. L’economista Marco Ponti ha già replicato alle contestazioni sul punto, prima in un articolo su l av oce.info firmato con gli altri membri della commissione, poi con una risposta all’intervento dell’economista Andrea Boitani su Affari e Fi- nanza di Repubblica, dove si toccava lo stesso punto. Nella lettera ad Affari e Finanza, Ponti scrive: “Nella nostra valutazione, in linea con quanto previsto dalla letteratura di settore, si è stimato il cosiddetto surplus del produttore anche per il soggetto Stato. Nel surplus del produttore si confrontano le entrate (le tariffe) e i costi del modo di destinazione ( nel nostro caso la ferrovia) con il progetto e senza progetto per il produttore dei servizi, ma anche le entrate fiscali (accise e Iva) e gli eventuali sussidi per lo Stato con e senza il progetto. Se la tassazione è diversa nei due modi (più alta per la strada e più bassa per la ferrovia) la diversione modale comporta una variazione delle entrate fiscali, che deve essere considerata”.
L’argomento è così condiviso nel settore che anche l’analisi costi-benefici dell’Osservatorio Tav di Palazzo Chigi guidato da Paolo Foietta ( favorevole all’opera) la applicava già nel 2011. E in quel caso le previsioni erano ancora più negative di quelle che pare abbiano utilizzato Ponti e i suoi colleghi oggi. Secondo l’analisi dell’Osservatorio del 2011, con il Tav Torino Lione il gettito fiscale complessivo sarebbe calato di ben 7 miliardi di euro e i concessionari autostradali avrebbero perso 9,5 miliardi di introiti ( considerando l’intera vita utile del progetto). Come si arrivava a numeri così iperbolici? Le stime del 2011 erano basate su previsioni di traffico che si sono rivelate completamente sballate. Si stimava che da 28,5 milioni di tonnellate di merci scambiate tra Italia e Francia su quella tratta nel 2004 si sarebbe passati a 52,7 nel 2030 fino ad arrivare a 97,3 nel 2053. Nel 2017, invece, l’interscambio era addirittura più basso che nel 2004, soltanto 23,3 milioni.
Gli errori di valutazione di quell’analisi del 2011 con- tribuiscono a spiegare perché l’opera risultava conveniente anche partendo da una stima di costo di 20 miliardi (mentre oggi, al ministero dei Trasporti, valutano un progetto ridotto a 12 miliardi).
Lo Stato perde accise, dicono i sostenitori dell’al t a velocità Torino-Lione, ma ci guadagna in qualità dell’aria, perché i treni inquinano me- no dei camion. L’analisi costi-benefici di Ponti e colleghi ovviamente ne tiene conto (nonostante quello che dicono i detrattori) e applica la valutazione standard usata n el l’Unione europea. Ogni tonnellata di anidride carbonica in più immessa nell’atmosfera genera un effetto negativo pari a 90 euro mentre genera contributi positivi per 400 euro. Nei 90 euro sono compresi i danni ambientali e alla salute, nei 400 i benefici che derivano dalla tassazione (che serve a pagare beni e servizi di cui poi i cittadini usufruiscono). Quando il traffico autostradale è così tassato come in Italia, spostarlo su rotaia genera piccoli benefici ambientali ma pesanti costi complessivi.
Nel 2014 l’analisi costi-benefici del Tav Torino Lione fatta dal professore Rémy Proud’Homme dell’Università Parigi Est aiuta a capire l’ordine di grandezza della questione: nell’arco di 50 anni l’Alta velocità porterebbe a un beneficio di soli 228 milioni di euro per l’anidride carbonica che non verrebbe immessa nell’at mo sf er a mentre gli Stati coinvolti perderebbero 6,5 miliardi di tasse. Nel complesso, quell’analisi che stimava un costo reale del progetto di 29,5 miliardi, arrivava a concludere che il saldo attualizzato dell’opera era negativo per un valore addirittura superiore a quello dell’intero investimento: 32,5 miliardi. Un disastro completo.
GLI EFFETTI COLLATERALI
L’ultimo argomento dei fan dell’opera è accusare la commissione Ponti di dare troppo peso al minore gettito
IL PRECEDENTE
Già l’analisi di Palazzo Chigi del 2011 parlava di 7 miliardi di entrate in meno, i benefici ambientali invece sono bassi