Mary Poppins La faccia nera è razzista? Allora pure le orecchie di Dumbo
È stata votata in questi giorni al Senato la proposta di modifica costituzionale per ridurre il numero complessivo dei parlamentari riducendoli dai più di 900 attuali a circa 600. Mi sarei aspettato che il gruppo del Pd, in coerenza con la sua proposta di riforma poi bocciata dal referendum, aderisse votando a favore, come hanno fatto peraltro e in modo furbo Forza Italia e Fratelli d’Italia (per non lasciare a Lega e 5 Stelle un ulteriore argomento di propaganda). Invece quelli del Pd si sono aggrappati ad argomenti pretestuosi e incongrui dimostrando ancora una volta che l’obiettivo della loro proposta costituzionale del 2016 non era la riduzione dei parlamentari ma fare del Senato una cassa di compensazione dei trombati o impresentabili a livello regionale che avrebbero avuto in quella ipotesi di Senato la possibilità di essere coperti dall’immunità e sarebbero stati eletti non dai cittadini ma direttamente dai capi partito. Ognuno è libero di suicidarsi come crede, ma se quelli del Pd pensano di recuperare credito e voti in questo modo... ciao core.
Caro Delrio, l’alta velocità per i treni merci non serve
L’ex competente ministro Delrio il 6 febbraio, durante la trasmissione Otto e mezzo su La7 si cimenta nella strenua difesa del Tav, che sarebbe ora che tutti iniziassero a chiamare Tac (treno alta capacità). A difesa dell’opera dice che l’interscambio con la Francia è in aumento e “che le merci ci sono ma viaggiano in maniera sbagliata” (sui Tir). Peccato che, parlando di merci, dovrebbe dire a sostegno della sua tesi quante sono le tonnellate in più, invece il competente parla di 86 miliardi e 46 miliardi di export. Quindi tenga presente l’ex ministro che se fossero diamanti o lingotti d’oro basterebbero un furgone o al massimo un paio di Tir.
Inoltre Delrio dovrebbe guardare qualche filmato dove treni molto lunghi attraversano diversi stati A- IL “NEW YORK TIMES” arriva ad accusare di razzismo una scena del celebre film Mary Poppins. Non il remake uscito di recente, ma la pellicola originale della Disney. Ora, va bene tutto, ma come si fa ad accusare di razzismo un capolavoro del cinema che ha fatto sognare grandi e piccini! CARO GABRIELE, il “New York Times” per penna dell’accademico ed editorialista Daniel Pollack-Pelzner ha ragione: Mary Poppins è un film razzista. Sporcarsi il volto di carbone, lungi dall’essere un innocuo espediente comico made in the UK, è invero “blackface minstrelsy” statunitense, intenzionale caricatura razzista: già contenuta nel libro di P.L. Travers, l’infelice immagine viene alla ribalta nel film del 1964 con la tata Julie Andrews e non scompare nel recente sequel Mary Poppins Returns. Non è supercazzola politically correct, quella del puntuto Dan, bensì mera e necessaria constatazione: non si scherza con la fuliggine, né si dileggiano “gli ottentotti”. Ora non resta che chiedere al “New York Times” di sanzionare – e auspicabilmente rettificare – gli altri abomini culturali di cui siamo circondati, magari partendo da Adamo ed Eva: prendendo del frutto proibito con le nefaste conseguenze che sappiamo, non gettano forse cattiva luce sui fruttariani? E l’improvvido Mosè che, aprendo le acque senza chiedere preventivo consenso a pesci e dugonghi, causa danni irreversibili all’ecosistema del Mar Rosso? Gilgamesh ed Enkidu, che cementano la propria amicizia nel maschilismo tossico dello scontro fisico? mericani superando alte montagne (lo stesso accade in Canada, per non parlare dell’Alaska o della Cina) e si accorgerebbe che i suddetti treni trasportano migliaia di tonnellate di merci ma molto lentamente, perché, come la sciagura di Viareggio dovrebbe insegnare, sui treni merci viaggiano merci pericolose. Come i saggi detti suggeriscono “chi va piano va sano e va lontano”: l’alta velocità per i treni merci non serve. Vogliamo forse dimenticare Abramo, che infine preferisce immolare un ariete anziché il figlio, macchiandosi del più bieco specismo? E con lo spreco idrico del Dio di Noè, come la mettiamo? Sciagurati noi, perché solo all’apparenza Pollack-Pelzner si volge al passato: in realtà, ha scritto quel pezzo perché – confessione via Twitter – un dirigente della Disney potesse ripensare al “Dumbo” di prossima uscita, espungendo gli elementi razzisti del caso. Che poi quegli elefantiaci padiglioni auricolari non sono di per sé un insulto a tutti i portatori umani di orecchie a sventola? Le classi pollaio hanno dieci anni! Sono riuscite a condizionare pesantemente lo sviluppo di molti alunni e studenti. Per esperienza sono penalizzati i migliori e gli studenti con più difficoltà. Le classi pollaio sono un’invenzione del duo Gelmini/ Tremonti ( 2008- 09). Il loro obiettivo è stato quello di alzare il numero degli alunni/studenti per classe per contenere i costi. Recentemente Mariastella Gelmini è riuscita in un capolavoro, esaltando gli aspetti qualificanti di una classe, proprio quelli che lei con Tremonti hanno compromesso con le classi pollaio. In quest’ultimo periodo l’on. Gelmini è impegnata nella “crociata” contro i telefonini a scuola. L’altro giorno ha dichiarato che il divieto degli smartphone favorisce la dimensione “r e l a z i onale della scuola, come laboratorio d’incontro, confronto e condivisione fra i ragazzi, come persone fisiche che vivono nella vita reale, e Il Pontefice ha richiamato i cristiani a tenere conto della parola di Dio. “Questi soldi scompaiono, sono niente. Chi costruisce su queste realtà, sulla materia, sul successo, su tutto quello che appare, costruisce sulla sabbia. Solo la parola di Dio è fondamento di tutta la realtà”. Secondo me, è vera una parte. Successo e apparenza sono troppo poco per fondare una vita felice. I valori non sono ideali toccata e fuga. Però, chi non arriva a fine mese fatica a far sue le parole ricordate dal Papa. Chi non ha di che sfamarsi, le ha già sepolte. La vita è una dura prova.
Si può parlare all’infinito, quando si ha fame e i soldi scarseggiano, quando si devono pagare scadenze e i soldi non ci sono, ogni bella e anche vera parola contro i soldi sfuma fino a non essere né più bella né più vera. I NOSTRI ERRORI
Per una confusione forse già senile, e pur abitando a poche centinaia di metri di distanza, nel mio articolo di ieri ho scritto che il Museo Egizio di Torino si trova in via Accademia Albertina e non al suo abituale indirizzo di via Accademia delle Scienze. Me ne scuso con i lettori (e anche con la presidente e con i visitatori del museo).