Blocchi stradali e l’assalto a un caseificio La guerra del latte invade l’intera isola
IN SARDEGNA il colore della rabbia è il bianco. Bianco come il latte versato sulle strade dell’isola dai pastori che da giorni protestano per il prezzo del latte fissato dagli industriali a 60 centesimi e che nelle attuali condizioni di mercato non riesce più a garantire neanche i costi di produzione. La protesta dilaga da Nuoro a Oliena, da Ollollai a Macomer, fino alle porte del capoluogo, con blocchi stradali e momenti di tensione altissima davanti agli stabilimenti di trasformazione del latte. Al Caseificio Pinna di Thiesi, i pastori hanno scagliato il latte contro i muri dell’azienda e sfondato alcune vetrate con dei bidoni da 50 litri. Un gruppo di allevatori si è presentato davanti al cancello del centro sportivo di Assemini, dove si allena il Cagliari calcio.
DOPO UNA LUNGA TRATTATIVA coi pastori, che impedivano alla squadra di partire per giocare la partita col Milan, la situazione si è sbloccata ed i giocatori hanno infine mostrato la loro solidarietà alla protesta versando simbolicamente a terra alcuni litri di latte. Ma la “guerra del latte” , come l’hanno ribattezzata gli stessi pastori, non si ferma e non lo farà almeno fino a mercoledì, giorno fissato per l’incontro a Cagliari nel tavolo assessoriale che vede riunite le sigle delle associazioni dei produttori e gli industriali per trovare una mediazione sulla remunerazione del latte e sulla riorganizzazione dell’intera filiera di settore, a partire da una seria programmazione delle produzioni volta ad impedire il dumping di prezzo. “È una situazione esplosiva, questo è un movimento spontaneo, dal basso che non ha colori e che prescinde dal controllo dei gruppi organizzati” spiega Felice Floris, storico esponente del Movimento Pastori Sardi (Mps). Floris parla di una rabbia sociale profonda che vede alle corde un settore portante dell’economia sarda dove tra diretti e indiretti sono occupate oltre 100 mila persone, che conta 18 mila aziende, che controlla 25 mila kmq di territorio, che fa vivere 365 paesi rurali. “Se crolla la pastorizia, crolla la Sardegna intera. Non si può vendere un agnello a 2 euro al chilo quando un coniglio ne costa 7. Non si può vendere un litro di latte a 60 centesimi, meno di un litro d’acqua, quando un chilo di formaggio costa 20 o 30 euro e per farlo ne occorrono 5 litri. Sessanta centesimi, cioè 1200 lire, lo stesso prezzo di quarant’anni fa. Un quintale di mangime si paga 35 euro e un litro di latte meno di una bottiglia d’acqua”.
Il problema è che la Sardegna è il più grande produttore di latte ovino d’Europa. “Produciamo quanto la Spagna e la Grecia. Non basta il tradizionale sbocco del mercato americano, dove la nostra dop non viene riconosciuta per il suo valore e viene commercializzata per usi industriali. Chiediamo una regolamentazione che preveda il ritorno alle restituzioni, cioè gli aiuti UE per ogni chilo di formaggio prodotto, insieme all’applicazione delle normative comunitarie che vietano il dumping cioè la produzione sotto costo”.