Il Fatto Quotidiano

Così, dopo il sisma, mamma occupò una casa nell’inferno

- » DANIELE SANZONE*

Erano

le 19,34 quando cambiò il destino della mia città e quindi anche il mio. Avevo due anni ed ero tra le braccia di mia madre in una casa decrepita in via Stadera a Poggioreal­e. Urla, pianti, nubi di polvere, sirene della polizia e ambulanze impazzite, si camminava tra morti e cumuli di macerie. Quel giorno, il 23 novembre del 1980, nessuno l’avrebbe più dimenticat­o. In quell’inferno mia madre con altre mamme occupò un pullman, il 107. La notte la passammo lì. Il giorno dopo le famiglie si riunirono in assemblea e decisero di partire la sera stessa, per la 167 di Scampia.

ALLA TESTAdelle sei auto, l’autobus stracolmo di scatoloni, valigie, vestiti, coperte, cuscini, materassi e tutto quel che restava della loro vita. Il 107 che partiva da Poggioreal­e e arrivava a piazza Carlo III, quella sera cambiò linea. Alle spalle si lasciarono i ricordi e i resti di un'esistenza di miseria. Era passata la mezza quando arrivarono a Scampia, quartiere il cui nome deriva da scampagnat­a, perché in origine lì c’era solo campagna, come cantavano i Napoli Centrale nel 1975, e la gente ci andava per stare freschi. Le case erano belle e grandi anche se mancavano le porte e le finestre, mentre i cessi e i bidet bisognava solo fissarli. L’ascensore ovviamente non c’era ancora e per palazzi di 13 piani non era un dettaglio. Diversi appartamen­ti già occupati erano illuminati dalla luce delle candele. C’era un grande via vai e si trovava gente di ogni tipo. C’era chi non aveva più nulla e gli sciacalli che occupavano per vendersi le case. Ben presto arrivò gente disperata da ogni parte della Campania. Per bere e lavarci andavamo alla fontanella giù al palazzo. Nel quartiere mancava tutto: negozi, piazze, cinema, bibliotech­e, ristoranti, parchi. Oggi poco è cambiato. Un po’ alla volta il comune iniziò a fare gli allacci dell’acqua, le fogne, gli impianti elettrici, le aiuole e le strade, larghe e lunge. Un invito a correre. E anche arrivarci non era facile, c’erano pochi autobus che arrivavano in periferia e passavano una volta ogni morte di Papa. Per viverci bisognava avere per forza l’auto. La metropolit­ana è arrivata solo nel 1996 suscitando l’indignazio­ne degli abitanti del Vomero, che raccolsero firme per non fare arrivare nella propria “isola felice” i ragazzi di Scampia. Chi aveva la fortuna di avere un’auto, quando andava al mercato, prendeva sempre un po’ di frutta in più per amici e parenti. Nacquero così i primi esercizi commercial­i, che erano sì abusivi, ma offrivano un servizio all’intera comunità. In breve tempo spuntarono ambulanti ovunque, negozi in garage occupati e molte persone si misero a vendere di tutto, direttamen­te in casa. Scampia era il Far West napoletano, una terra di c on q ui st a e di speranza per chi nella vita non aveva avuto fortuna. Una pagina bianca che aspettava la sua storia.

Ora vivevamo in una nuova casa, in un quartiere che sarebbe diventato il simbolo della ricostruzi­one e del riscatto. Bisognava solo guardare avanti e rimboccars­i le maniche. Ci aspettava un Natale lungo, freddo e triste.

*Cantante del gruppo A67

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