Noi, assunte a tempo indeterminato dai figli
Le vedi all’uscita di scuola avventarsi sul figlio per prendergli lo zaino, affinché non si sfianchi con i pesi. Ma anche subissarlo di domande su come sta o non sta, inseguirlo con il panino in mano aspettando che si degni di dargli un morso, infine trasportarlo nelle sue innumerevoli attività ludico-ricreative-musicali. Sono le nuove “ipermadri”, variante femminile dei cosiddetti “ipergenitori”. Perennemente esauste, si dedicano con fervore quasi religioso alla protezione del figlio (molto spesso unico), per cui hanno scelto la migliore scuola dell’intera nazione e dal quale si aspettano ovviamente risultati all’altezza di un investimento di risorse ed emotivo imponente.
Peccato che, come dice la giornalista ed esperta Eva Millet nel suo libro Hiperpaternidad(Felici e imperfetti, Longanesi), i figli di queste madri, cioè anche i nostri - perché oggi siamo tutte un po’ipermadri - siano tra i bambini e i ragazzi più fragili della storia. Cronicamente dipendenti, per nulla autonomi, magari parlano cinese ma non sanno allacciarsi le scarpe e se rimangono chiusi in ascensore telefonano a casa invece di chiamare i soccorsi. Generazione “fiocco di neve”, che si scioglie alla prima difficoltà e frustrazione, col risultato che quella carriera brillante tanto programmata rischia di restare sulla carta. Ma i danni sono anche per le donne: perché per essere ipermadri molte donne finiscono per lasciare il lavoro, visto che, altro che casalinghe, sono dipendenti a tempo indeterminato, ma senza stipendio, dei propri figli. Invertire la tendenza si può, comunque. Anzitutto, smettere di considerare i figli come contenitori da riempire e pensarli invece come persone. Poi, fare un passo indietro e mollare un bel po’la presa. Non tanto per dedicarsi a sé (ma anche sì, in parte) ma soprattutto per scoprire che, toh, esiste un mondo oltre i propri figli.