Il Fatto Quotidiano

Noi, assunte a tempo indetermin­ato dai figli

- » ELISABETTA AMBROSI

Le vedi all’uscita di scuola avventarsi sul figlio per prendergli lo zaino, affinché non si sfianchi con i pesi. Ma anche subissarlo di domande su come sta o non sta, inseguirlo con il panino in mano aspettando che si degni di dargli un morso, infine trasportar­lo nelle sue innumerevo­li attività ludico-ricreative-musicali. Sono le nuove “ipermadri”, variante femminile dei cosiddetti “ipergenito­ri”. Perennemen­te esauste, si dedicano con fervore quasi religioso alla protezione del figlio (molto spesso unico), per cui hanno scelto la migliore scuola dell’intera nazione e dal quale si aspettano ovviamente risultati all’altezza di un investimen­to di risorse ed emotivo imponente.

Peccato che, come dice la giornalist­a ed esperta Eva Millet nel suo libro Hiperpater­nidad(Felici e imperfetti, Longanesi), i figli di queste madri, cioè anche i nostri - perché oggi siamo tutte un po’ipermadri - siano tra i bambini e i ragazzi più fragili della storia. Cronicamen­te dipendenti, per nulla autonomi, magari parlano cinese ma non sanno allacciars­i le scarpe e se rimangono chiusi in ascensore telefonano a casa invece di chiamare i soccorsi. Generazion­e “fiocco di neve”, che si scioglie alla prima difficoltà e frustrazio­ne, col risultato che quella carriera brillante tanto programmat­a rischia di restare sulla carta. Ma i danni sono anche per le donne: perché per essere ipermadri molte donne finiscono per lasciare il lavoro, visto che, altro che casalinghe, sono dipendenti a tempo indetermin­ato, ma senza stipendio, dei propri figli. Invertire la tendenza si può, comunque. Anzitutto, smettere di considerar­e i figli come contenitor­i da riempire e pensarli invece come persone. Poi, fare un passo indietro e mollare un bel po’la presa. Non tanto per dedicarsi a sé (ma anche sì, in parte) ma soprattutt­o per scoprire che, toh, esiste un mondo oltre i propri figli.

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