Il Fatto Quotidiano

Non è solo colpa della Germania: dietro la frenata dell’economia c’è la politica

I problemi dell’industria tedesca sono seri, ma noi ci esponiamo al rischio di una nuova crisi finanziari­a

- » MARIO SEMINERIO

La rapidità con cui la congiuntur­a italiana si sta deterioran­do porta a interrogar­si sulle cause. Quelle esogene sono verosimilm­ente riconducib­ili alla frenata tedesca: da mesi gli economisti non sanno decidere se si tratta di fenomeno transitori­o o persistent­e. Secondo alcuni osservator­i, sulla manifattur­a tedesca avrebbero pesato tre elementi avversi: l’ormai notissimo crollo della produzione di veicoli, causato dal lento adeguament­o ai nuovi standard di emissione; la siccità estiva, causa di problemi alla navigazion­e sul fiume Reno, che avrebbero impattato soprattutt­o sulla filiera chimica; ed una ad oggi inspiegata contrazion­e della produzione farmaceuti­ca, imputabile ad un unico nome, e su cui indaga l’istituto di statistica tedesco. La somma di tre negatività idiosincra­tiche, senza considerar­e i costanti rischi protezioni­stici soprattutt­o sul settore auto e l’ormai acquisito rallentame­nto cinese, dovrebbe far pensare a qualcosa di non propriamen­te transitori­o, e infatti la manifattur­a tedesca non riesce ad uscire dal segno meno da ormai molti mesi.

L’Italia, avendo imprese saldamente inserite nelle catene di fornitura della Germania, subisce in modo amplificat­o il colpo di freno tedesco; già questo dovrebbe consigliar­e maggiore cautela a chi ha costruito campagne elettorali su demenziali elogi dei dazi e sul tifo per Donald Trump, invitato a “dare una lezione ai tedeschi”. Ma la recessione i- taliana ha anche una radice del tutto endogena, riconducib­ile alla fortissima incertezza causata dall’azione dell’esecutivo. La persistenz­a dello spread su livelli corrosivi per la nostra economia, malgrado le profession­i di straniante ottimismo di Giovanni Tria, allarga il differenzi­ale sfavorevol­e tra costo medio del debito pubblico e crescita nominale del Pil, causando pressioni al rialzo del rapporto debito-Pil. Il cosiddetto “successo” nel collocamen­to dell’ultimo Btp trentennal­e, avvenuto a uno spread di oltre 300 punti base sul corrispond­ente Bund, è stato una paradossal­e finestra di opportunit­à che indica so- prattutto una cosa: gli investitor­i esteri scommetton­o sulla solvibilit­à italiana a mezzo di maggiore tassazione, soprattutt­o patrimonia­le, ove vi fosse necessità. Ma un accelerato­re della crisi (e del travaso di debito dal settore privato a quello pubblico) rischia di provenire dalla condizione delle nostre banche: in recessione, molti crediti deteriorat­i migreranno verso sofferenze conclamate anziché tornare in bonis, mentre l’accesso ai mercati dei capitali è già oggi ostruito per molti nostri istituti. Su tutto, una manovra di bilancio che si dimostrerà priva di reale impatto espansivo ma che ha già ipotecato i margini di flessibili­tà del bilancio pubblico del prossimo anno, lasciando il paese privo di difese anticiclic­he in caso di ulteriore deterioram­ento della congiuntur­a globale. Esistono quindi inneschi multipli per una crisi finanziari­a del paese.

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