Il Fatto Quotidiano

La purga di Erdogan: i nuovi paria dopo il fallito golpe del 2016

Inchiesta di Mediapart sulle vittime del presidente

- » NICOLAS CHEVIRON

“Quando vado a fare la spesa, mi fa stare male sentire il commercian­te che mi dice: ‘Non voglio vedere traditori della patria nel mio negozio’. Ma sto ancora più male quando devo convincere i miei figli che non ho fatto nulla di male e li devo supplicare di credermi. Ma quando per la strada le persone urlano contro mio figlio: ‘Sappiamo tutto di tua madre, tutto il quartiere lo sa’, ripetere che non ho fatto nulla, non basta più”.

La donna che ha scritto queste poche righe ha preferito non dire il suo nome. Ritiene che le autorità turche l’abbiano lasciata sola, in balia della rabbia del popolo, e per il solo fatto che, tempo fa, aveva aderito a un sindacato. La sua è una delle migliaia di testimonia­nze raccolte dall’associazio­ne Giusti

zia per le vittime, che di recente ha pubblicato un rapporto sui “Costi sociali dello stato di emergenza in Turchia”.

Traditori della patria

Il governo del presidente Recep

Tayyip Erdogan ha dichiarato lo stato di emergenza il 20 luglio 2016, cinque giorni dopo il tentato colpo di stato attribuito al predicator­e islamista Fethullah Gülen, un ex alleato del capo dello Stato diventato poi il suo peggior nemico. Tra l’entrata in vigore del regime speciale e la sua revoca effettiva, il 25 luglio 2018, circa 170 mila persone accusate di legami con l’organizzaz­ione gülenista FETÖ sono state perseguite in giudizio e tra loro più di 50 mila sono finite in prigione.

Circa 130 mila dipendenti pubblici sono stati inoltre costretti a lasciare i loro posti di lavoro, nella maggior parte dei casi senza alcuna spiegazion­e. Una caccia alle streghe che ha permesso al governo di sbarazzars­i anche di numerosi sindacalis­ti e militanti di sinistra e pro-curdi.

In tutto 2.862 vittime dirette delle epurazioni del governo, 591 di loro familiari (coniuge, genitori, figli, fratelli… per il 43,8% dei quali la persona cara si trova ancora in custodia cautelare) e un campione “neutro” di altre 323 persone hanno risposto agli appelli sui social

network e delle associazio­ni di vittime delle purghe, rispondend­o su Internet alle 175 domande dell’inchiesta, tra il 2 agosto e il 23 settembre 2018.

Gli intervista­ti sono soprattutt­o uomini (72,2%), con un alto livello di istruzione (94,6%, con diploma superiore o più), nella maggior parte dei casi sposati (84,5%), con in media due figli e di orientamen­to politico per lo più conservato­re (il 47,7% di loro si dichiara conservato­re, il 16,9% nazionalis­ta, il 7% islamista). Le vittime dirette sono soprattutt­o ex dipendenti pubblici (93,2%), per lo più mandati via di forza (94,5%). Il 55% circa di loro è stato in prigione dopo il tentativo di golpe.

Dalle loro testimonia­nze emergono innanzi tutto gravi difficoltà materiali.

Dopo aver perso il lavoro, le vittime dirette della repression­e dichiarano di aver perso in media il 77% del loro reddito, passato da 3.500 lire turche (Tl, cioè circa 570 euro) a 800 Tl (130 euro). I fami- liari hanno subito a loro volta dei danni e perso il 50% dei loro redditi. Se prima dello stato di emergenza solo il 3,2% di queste persone percepiva un reddito inferiore ai 2.000 Tl (300 euro), si trova ora in questa condizione l’82,9% di loro, di cui il 41,7% dice di guadagnare meno di 250 Tl (40 euro) al mese. Il salario minimo al primo gennaio 2019 era di 2.020 Tl.

Un sentimento di ostilità

Al momento dell’inchiesta, la metà delle vittime delle purghe era ancora in cerca di occupazion­e. Il 14,9% ha detto di fare lavoretti precari per vivere e l’ 8,3% di aver smesso di lavorare (pensionati, casalinghe, ripresa degli studi…). Più di un quarto dei loro familiari era a sua volta disoccupat­o, più del tasso di disoccupaz­ione ufficiale, che era dell’11,6% a novembre.

Alle difficoltà finanziari­e si aggiungono i disagi legati al sentimento di ostilità che circonda le vittime delle epurazioni e i loro cari. I tre quarti degli intervista­ti confessano di aver perso la mag- gior parte degli amici. Per più della metà, la porta dei vicini è ormai chiusa. Più di un terzo dice di aver subito molestie. Numerose vittime dirette della repression­e non sono più in buoni rapporti con i propri fratelli (38,4%), i genitori (27,6%), i figli (23,9%), o il coniuge (31,7%, nel 6,3% dei casi la relazione è sfociata nella separazion­e o nel divorzio).

“Dal giorno in cui sono stato sospeso, tutti i miei colleghi di lavoro hanno smesso di parlarmi e di rispondere alle mie chiamate. Mia moglie e i miei figli hanno il morale a pezzi. Non vedo più mio padre. I nostri amici non osano più venire a casa”, testimonia una delle vittime.

Per sfuggire alle pressioni, la metà delle vittime delle purghe dice di aver cambiato quartiere o città e l’ 83,9% pensa di lasciare la Turchia se si presenta l’opportunit­à. Il 9,9% sostiene anche di aver già tentato di lasciare il Paese, per via legali o no.

Ma partire non permette alle vittime di sfuggire al proprio infer-

“Dal giorno in cui mi hanno sospeso, tutti i colleghi non mi parlano più e mia moglie e i miei figli hanno il morale a pezzi”

no interiore. I principali disagi psicologic­i sono: il timore persistent­e che la propria situazione possa aggravarsi in modo improvviso (73,4%), la mancanza totale di fiducia nel futuro (71,8%), disturbi del sonno (68,4%), il sentimento di isolamento (66,9%), cambiament­i bruschi e frequenti di umore (63,4%), in alcuni casi anche pulsioni suicide (14,2%). Il 5% delle vittime delle purghe e dei loro cari sostiene di essersi confrontat­o ad almeno un tentativo di suicidio in famiglia e una percentual­e analoga di persone ritiene che la morte per malattia di un membro della famiglia sia legata allo stress e al dolore causati dalla repression­e. Un rapporto pubblicato nel luglio 2018 dal partito dell’opposizion­e social-democratic­a Chp aveva registrato 52 casi di suicidio legati alla repression­e.

Uno choc violento

Secondo Bayram Erzurumluo

glu, direttore del team di sociologi e psichiatri che ha portato avanti l’inchiesta, lo choc psicologic­o è stato ancora più violento per le persone che si rivendican­o di tradizione conservatr­ice, la grande maggioranz­a, educate nel rispetto dello Stato.

“Queste persone erano abituate a pensare che lo Stato fosse per loro come una madre. Ma, da un giorno all’altro, quella madre si è trasformat­a in un mostro che fa di tutto per distrugger­le - spiega l’esperto, che è stato a sua volta licenziato dal posto di professore associato che occupava al dipartimen­to di economia dell’università di Adiyaman - In un solo giorno, queste persone, che hanno tutte diplomi superiori, e che fino a quel momento erano rispettate dalla comunità, hanno scoperto che la loro presenza non era più gradita, sono diventate l’incarnazio­ne stessa del male”.

A Mediapart Erzurumluo­glu ha spiegato: “Prima c’è stato lo choc, poi l’isolamento e l’incapacità di farsi ascoltare, quindi si è raggiunto lo stato descritto dallo psicologo comportame­ntista americano Martin Seligman che parla di impotenza appresa, in cui la vittima è convinta che, pur con tutti gli sforzi, nulla potrà mai cambiare”.

Nove vittime delle purghe intervista­te su dieci hanno detto di aver presentato ricorso alla commission­e d’inchiesta sulla gestione dello stato di emergenza. Ma, al momento dell’inchiesta, i tre quarti di loro erano ancora in attesa di risposta, il 13,4% aveva ricevuto una risposta negativa e solo lo 0,5% - ovvero 14 persone - aveva potuto reintegrar­e il posto di lavoro.

(traduzione Luana De Micco)

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Ansa/LaPresse Effetti collateral­iIl presidente Recep Tayyip Erdogan e il fallito golpe. Sotto Bayram Erzurumluo­glu
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